MI È STATA MESSA UNA SPINA NELLA CARNE

Melin
00martedì 3 febbraio 2009 21:54
Riflessione

MI È STATA MESSA UNA SPINA NELLA CARNE

Romano Martinelli

Un cardinale, un vescovo, un monaco, un religioso, una consacrata, una suora di clausura, alcuni presbiteri ci propongono riflessioni ed esperienze che possono nutrire il coraggio nell'affrontare le complesse sfide della vita e della vocazione personale. Voci diverse e insieme complementari, talvolta venate di tratti autobiografici, offrono una meditata testimonianza sull'importanza e la fruttuosità del riconoscere e valorizzare le stagioni della propria e altrui debolezza. L'interpretazione nasce dal loro sguardo di discepoli, illuminato dalla luce della Parola. Nell'insieme affiora una stimolante pedagogia della speranza.
Si può dire che ognuno di questi contributi, a più voci, siano provocazioni sulla speranza cristiana, oggi virtù urgente, desiderata. Ma, è bene dirlo con franchezza, è più facile "chiacchierare" sulla speranza che coltivarla con intelligenza. In effetti è una virtù difficile. A confronto delle incalzanti necessità attuali si ragiona ancora troppo poco sulle strategie necessarie a contrastare le forme di mistificazione, di disperazione o la fuga dal reale. Ancora meno si progetta in termini di pedagogia sulle virtù cristiane e umane. Auspichiamo che la nostra Chiesa alimenti sempre un laboratorio ecclesiale ove lo Spirito apra nuovi cammini per uomini e donne testimoni della speranza.
Poiché è virtù ardua, occorre comunicarsi parole vere e fatti non mistificanti: insieme devono aiutare ad affrontare il futuro con una strategia fatta di piccoli passi e di quel coraggio che nasca da una fede perseverante. Il percorso, che si intravede in questi contributi, nasce da incontri con la debolezza, propria e altrui, in esperienze di fragilità, di fatica, quando appunto la speranza è più provata; allora il comunicare è ancora più fruttuoso, fecondo. Condividere esperienze e riflessioni diventa un dono prezioso per tutti: si assapora la forza del Vangelo e insieme si trasfigura la ferita della carne, per quella sorgente che sgorga dall'alto. La fragilità da luogo insidioso di tentazione può divenire inopinatamente terra di comunione con Dio e i fratelli. Occorre però, alla luce del Vangelo, riconoscerne la positività, perché divenga risorsa per sé e per gli altri.
Così Paolo vive la sua debolezza. L'apostolo, nel suo "vanto da insensato", coglie la grande opportunità in un momento difficile della sua esistenza: capovolge il giudizio su la spina nella carne in termini di positività (II Cor 12, 7). «Certo sembra che questo ostacolo evocato da Paolo rientri a far parte delle "debolezze" di cui egli si vanta (v. 9d) e addirittura si compiace (v. 10a). Tuttavia quando l'apostolo parla di astheneia, non intende mai riferirsi al peccato... Di solito designa una "debolezza" non tanto di ordine psicofisico, quanto piuttosto di ordine spirituale... ed interpreta la sua debolezza come lo "spazio" apostolico privilegiato in cui lasciar manifestare il mistero pasquale di Cristo (II Cor 4, 10-12)». (1) Anzi: è ciò di cui più si vanta, andando oltre i contrasti con i falsi apostoli, i patimenti apostolici, le visioni e i rapimenti nel Signore. Nella sua debolezza si sente trasparenza della potenza di Dio. Questo solo desidera. Dunque è un segreto per l'annunciatore. L'irraggiamento della sua Presenza è contagioso solo quando il discepolo assume positivamente la sua storia di povertà, di limite, di mendicità (Gerson).

Melin
00martedì 3 febbraio 2009 21:56
Il discepolo del Signore Gesù sa che le vie della salvezza non sono cammini da vincitori, se non nella logica della "pietra scartata", immagine di debolezza estrema. Se non ci si appiattisce su una lettura meramente convenzionale o su una meditazione superficiale del tema paolino circa la forza della debolezza (Il Cor, II Tm, ecc.), questo percorso svela tutta la sua ricchezza e attualità. Anche il cristiano oggi è tentato di apprezzare solo la storia dei vincitori: le Scritture invece, a cominciare dall'autore e perfezionatore della nostra fede, privilegiano l'apologia di quanti perdono la vita per l'Alleanza. Così la Lettera agli Ebrei elogia quanti, pur avendo sofferto per il Signore Gesù e ciononostante non avendo conseguito la promessa, hanno «trovato forza proprio nella loro debolezza» (11, 34b).
La contemplazione del Volto del Signore, Servo sofferente, provoca la sete nel discepolo: essere nel ministero e nella vita prolungamento della beata debolezza, il cui paradosso risuona sul Monte delle Beatitudini. Esse sono in fondo diverse facce di un unico Mistero, offerto come grazia al discepolo, nel quale il Signore dispiega tutta la sua potenza.
In questa area omogenea si muovono i diversi contributi del libro.
Il cardinale Carlo Maria Martini parla ai preti della sua diocesi lasciandosi ispirare dalla figura di Teresa di Lisieux; si interroga se la prova della fede della carmelitana possa avere relazione con le prove del nostro tempo, e in particolare con le fatiche dei pastori, chiamati come lei a sedere alla mensa dei peccatori. Le tenebre più fitte, il tunnel cupo, la bruma spessa sono metafore forti usate dalla monaca per descrivere la sua crisi di fede e di speranza. «Non credo più alla vita eterna: mi sembra che dopo questa vita mortale non ci sia più nulla. Tutto è scomparso per me. Resta solo l'amore» (citata da suor Teresa di Sant'Agostino). La testimonianza di Teresa, in apparenza quasi blasfema, aiuta il consacrato (e il cristiano) nel vivere la prova della fede positivamente, ridimensionando emozioni e sensazioni, a favore del primato certo della carità.
Don Sergio Stevan, utilizzando uno slogan fortunato del gesuita padre Rondet, traccia il filo rosso che unisce i diversi interventi. N ella sua meditazione, a suo tempo apprezzata e segnalata dallo stesso cardinale Martini al clero della diocesi milanese, interpreta la ricerca di pienezza nel ministero come un passaggio dal sogno di una santità impossibile a una povertà trasfigurata dallo Spirito. È di certo una "porta stretta", ma consente nella letizia interiore di integrare anche i momenti più pesanti della vita nell'esperienza della beatitudine della povertà spirituale.
Questa maturazione, a un tempo psicologica e spirituale, è favorita da nuove irruzioni e sorprese della Grazia. N ella vita del discepolo si può parlare di successive chiamate e dunque di successive conversioni. Questo tema è svolto da padre Voillaume, valorizzando un'intuizione di Lallemant, maestro di spirito del primo Seicento. (2) Padre Voillaume, uno degli "spirituali" più importanti del Novecento, in una lettera indirizzata ai Piccoli Fratelli, rilegge una singolare stagione di crisi della vita di molti in termini appunto di seconda vocazione. (3) La tesi, divulgata in più modi, è divenuta un testo classico ma vale la pena di comprenderla sino in fondo, per evitare ingenue semplificazioni. È inimmaginabile quanto bene abbia fatto questo testo a molti fratelli e sorelle che, trovandosi a vivere stagioni sofferte della loro vita e immaginando si infedeli, scoprono invece come questa fragilità sia in realtà un accesso a nuovi cammini più alti e fecondi.
Melin
00martedì 3 febbraio 2009 21:56
Monsignor Renato Corti, una delle voci più ascoltate dell'episcopato italiano, in una meditazione predicata a un gruppo di preti della diocesi di Milano, dialoga con lo stesso padre Voillaume e con Romano Guardini. Il vescovo innesta la riflessione antropologica di Guardini e quanto il filosofo indica come caratteristiche dell'età adulta nell'interpretazione di Voillaume sopra citata. Guardini evidenzia con lucidità il contrasto nell'età adulta, caratterizzata da pienezza di vigore, da creatività e, insieme, dall'esperienza acuta dei propri limiti. Questa situazione dà una coscienza nuova di sé, delle cose, del vissuto. L'adulto entra così in una crisi inevitabile. Al rischio del disincanto e della disillusione, cioè della resa, l'adulto deve allora contrapporre la perseveranza e l'audacia della libertà, che resiste nel compito. In questa prospettiva antropologica ciò che accade può con legittimità essere interpretato come una seconda chiamata. La riflessione del vescovo allora suggerisce percorsi sapienziali di indiscutibile attualità. Il saggio articolarsi delle argomentazioni, la concretezza e la pertinenza delle indicazioni, fanno della meditazione al clero una proposta valida per tutti, al di là degli immediati destinatari.
La riflessione di Luciano Manicardi, monaco della comunità di Bose, attualmente maestro dei novizi, ricorda come la maturità della preghiera personale nella vita del prete decida il livello e la fecondità della sua missione, oltre che la qualità globale della sua stessa vita. Vale sempre la pena di sostenere la fatica e la lotta quotidiana dell'incontro con Dio: il prete è aiutato a leggere i più delicati vissuti della sua esistenza, compresi gli inevitabili esiti frustranti del ministero e la stessa angoscia della morte. La preghiera vera accompagna nelle diverse età della vita, sempre segnate da crisi di passaggio, maturando un'interiorità profonda, capace di accogliere il rivelarsi delle diverse immagini di Dio, il quale è sempre oltre tutte le immagini che di lui possiamo forgiare. Nella preghiera fedele si superano le insidie dei fallimenti, le tentazioni di vivere degli esiti della pastorale, l'ansia logorante per il futuro. E l'orante diventa sempre più uomo di comunione e di intercessione.
Romano Martinelli, direttore spirituale del quadriennio teologico di Milano, trascrive una sua interpretazione della beatitudine, promessa a coloro che piangono. Nella fede, si può "vedere" nella fragilità della malattia il miracolo di un' esperienza più profonda di comunione, proprio quando la situazione sembra escludere quella minimale qualità della vita che consenta di vivere la letizia dei figli di Dio.
Melin
00martedì 3 febbraio 2009 21:57
Don Davide Caldirola, giovane parroco della periferia di Milano, narra la sua esperienza di pastore in una comunità per molti versi arida e problematica. In un linguaggio disincantato, eppure capace di lasciar intravedere la passione per un ministero difficile, racconta come si senta accompagnato e guidato tra la gente dal Buon Pastore. Apre orizzonti ariosi per il futuro del ministero, disegnando scenari e forme di presenza tra la gente, che saranno sempre più diffusi, almeno nelle nostre città anonime.
Anna Deodato, ausiliaria diocesana di Milano e maestra delle novizie, presenta il tema trattato, in modo molto personale, intimo, profondo, arricchendo queste pagine di un fondamentale contributo femminile: come per Maria, la seconda chiamata nella donna è l'occasione per riscoprire e rafforzare la propria vocazione di "sposa" e di "madre".
Suor Chiara Veronica, infine, lega le precedenti testimonianze alla luce dell'esistenza nascosta della vita claustrale, e dell'incontro di Gesù con Nicodemo, "uomo della ricerca notturna".
Concludendo si vorrebbe provocare nel lettore interrogativi e suscitare domande: «Quando nell' esperienza della tua debolezza, nella sgradevole scoperta della tua fragilità hai incontrato la forza del Vangelo? Come è accaduto? Perché anche tu non provi a raccontarlo?».

 

[1] Franco Manzi, Seconda Lettera ai Corinzi, Paoline Editoriale Libri, Milano, 2002, p. 293.
[2] Louis Lallemant, La dottrina spirituale, Àncora, Milano, 1984, p. 100.
[3] René Voillaume, Sulle strade del mondo, Morcelliana, Brescia, 1960, pp. 3-22.

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