RETTIFICA: GIOACCHINO GENCHI SCRIVE AL DIRETTORE DE "IL SOLE 24 ORE", FERRUCCIO DE BORTOLI

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INES TABUSSO
00mercoledì 31 ottobre 2007 23:26

Al direttore de “Il Sole 24 ore”
Ferruccio de Bortoli

Gentile direttore,
prescindo, per il momento, dall’approfondire le ragioni che hanno portato il redattore del suo giornale a contattarmi.
Non conoscevo, né avevo mai sentito parlare del giornalista Lionello Mancini, prima di ricevere una sua e-mail di presentazione, con l’intestazione del suo giornale.
Non contesto in nessun modo la libertà di pensiero e di espressione di chicchessia, né tanto meno del redattore del giornale da lei diretto.

Mi sia però consentito di rettificare il contenuto di alcune false dichiarazioni che mi vengono attribuite, nell’articolo pubblicato oggi (28-10-2007) dal suo giornale, col titolo “I segreti del superperito hi-tech”.
Tralascio molte inesattezze e palesi incongruenze riportate nell’articolo e vado al sodo. Mi riferisco alle parti che attengono ad alcune mie presunte dichiarazioni, in realtà mai rilasciate.

Rispondendo alle domande del giornalista Mancini sulla vicenda Contorno, ho detto cosa del tutto opposta a quanto riportato nell’articolo, precisando che mai avrei potuto nutrire alcun sospetto sul dr. Gianni De Gennaro, per la fiducia che Falcone gli aveva accreditato, anche dopo l’arresto del “pentito”.
Non ho mai detto, né tanto meno pensato, che Falcone “sia sceso a patti” con chicchessia, posto che il senso della dichiarazione è peraltro in palese contraddizione con la premessa, attribuitami pure in modo distorto, nel virgolettato.

Mi sono per il resto note le iniziative giudiziarie di Falcone dopo l’arresto di Contorno e la profonda amarezza che egli ha espresso nei suoi scritti, proprio sul conto dell’ex pentito.
Avrà pure memoria che Totuccio Contorno, ed i suoi sodali, sono stati arrestati grazie ad una brillante operazione degli uomini della Polizia di Stato e non certo ad opera dei vigili urbani di San Nicola l’Arena.
Su questa vicenda sono stati svolti dei processi e scritti e versati fiumi di inchiostro.
Ognuno può conservare le riserve che vuole ed al contempo esprimere ogni perplessità, sempre nel rispetto della verità e della dignità dei morti, che peraltro non avrebbero la possibilità di replicare.
(Gianni De Gennaro - Foto U.Pizzi)


Non voglio pensare ad una trappola, se non altro per la serietà che caratterizza la testata, a nome della quale il giornalista mi si è presentato.
Gli avevo però inviato un dettagliato curriculum, in cui la vicenda è chiaramente raccontata e al contempo circoscritta.
Quanto, poi, alla ulteriore domanda su quali fossero i miei rapporti col dr. Gianni De Gennaro, ho precisato che gli avevo persino mandato un biglietto di auguri, quando è stato nominato Capo della Polizia.

La domanda e la risposta vertevano sulle false notizie giornalistiche, secondo cui io avrei acquisito e sviluppato i tabulati telefonici del Prefetto Gianni De Gennaro (di cui non conosco, né ho mai conosciuto le utenze telefoniche), del Ministro dell’Interno Amato, del Presidente del Senato Marini e di decine e decine di alte cariche dello Stato, fra cui alcuni magistrati, con i quali – vedi caso - sto pure lavorando, in delicati e molto riservati procedimenti penali.

L’esigenza di chiarezza era ed è assolutamente pressante, specie dopo la sequela di notizie giornalistiche - appartenenti a ben identificati organi di stampa, ben diversi dal suo - con le quali si è cercato di delegittimare il mio operato di consulente dell’Autorità Giudiziaria, nei procedimenti in cui sono stato nominato.
Questa è stata una delle ragioni per le quali ho accettato di incontrare il giornalista Mancini.

Mai ho presentato istanza alcuna per l’ammissione al SISDE o ad altro servizio segreto.
Non ho nemmeno presentato istanza alcuna, per le progressioni di carriera in Polizia.
Le mie uniche istanze riguardano il concorso nella Polizia di Stato del 1985, che ho superato; la domanda di aspettativa (non retribuita) del giugno del 2000 e l’iscrizione a Slow Food, di qualche anno addietro.
Le ulteriori gratuite considerazioni riportate nell’articolo, sul “capitolo controverso” della mia biografia, con riguardo alle indagini sulle stragi di Capaci e di Via d’Amelio, negano la evidenza della storia giudiziaria di questo Stato, che testimonia la correttezza del mio operato.
(Clemente Mastella - Foto U.Pizzi)


Queste non sono mie dichiarazioni, né ancor meno mie valutazioni, ma attengo a quanto riportato a chiare lettere nelle sentenze dei giudici di merito sulle stragi del “92”, che hanno pure superato il vaglio della Suprema Corte di Cassazione, persino con la condanna all’ergastolo di imputati assolti nel primo grado di giudizio.
Proprio nelle motivazioni di quelle sentenze è detta e ribadita la correttezza e la determinanza del mio contributo processuale, anche con riguardo ai tentativi di delegittimazione, che allora come oggi sono costretto a subire.

In una fase così difficile del mio percorso professionale, continuare a cercare di mettermi contro qualificate istituzioni e personalità dello Stato, nei confronti delle quali nutro profondo rispetto, oltre che stima personale, concorre con la sequela di artate disinformazioni, che mi auguro non abbiano animato il suo redattore, quando ha deciso di contattarmi, per scrivere l’articolo che ha poi pubblicato.

Concludo precisando di non avere rilasciato alcuna considerazione sull’operato del Ministro Mastella. Di non averlo mai nominato con l’appellativo di “Signore” e di essermi limitato a considerare che stava solo sbagliando, a reagire nel modo in cui ha reagito, considerando l’apporto professionale che avevo dato all’inchiesta di Catanzaro.

Sul punto ho anche fornito al redattore del suo giornale un testo scritto, del quale non ha tenuto conto in nessun modo, nella redazione dell’articolo.
Non mi ha nemmeno inviato copia di quanto intendeva pubblicare, come mi aveva assicurato prima di congedarsi.
Nessuno – per quanto mi risulta - ha mai parlato di me definendomi “Licio Genchi”, eccetto il Ministro Mastella, in una conferenza stampa, tenuta all’indomani della trasmissione di “Anno Zero”, in cui il giornalista Marco Travaglio lo aveva assimilato al “maestro venerabile”.

Quando poi il suo redattore mi ha chiesto delle repliche sulle dichiarazioni rese sul mio conto del Procuratore di Catanzaro Mariano Lombardi, ho solo precisato che non potevo replicare ad un indagato, in un procedimento nel quale - come è noto - sto svolgendo un incarico di consulenza, per conto della Procura della Repubblica di Salerno.
Le domande e le richieste di precisazioni hanno riguardato - nella specie - i contenuti di una serie di articoli di stampa sulle vicende di Catanzaro, con la diffusione integrale dei contenuti delle mie relazioni di consulenza, sul quotidiano “Calabria Ora”.
(Luigi De Magistris)


Le ulteriori allusioni sui nomi dei miei pc (Ciampi, Fassino, Mastella, Ficarra, Picone, Litizzetto, Franco, Ciccio, Verdone, Benigni, ecc.) – attengono agli aspetti di una ironia che il suo redattore non ha voluto cogliere, e se l’ha colta l’ha integralmente travisata nel testo dell’articolo, dando di me e del mio lavoro una rappresentazione assolutamente falsa e tendenzialmente distorta.

Dopo quelli che potevano essere i contingenti riferimenti a Mastella, l’avere a tutti costi tirato dentro nell’articolo persone come Ciampi, o Fassino, omettendo non a caso gli altri nomi dei pc (che non sono server), rende alla citazione un senso assolutamente falsato, sull’alone di mistero che l’articolo ha voluto suscitare, su una circostanza banale, che io stesso avevo riferito all’articolista, spiegandogli il perchè di quei nomi, che nulla hanno a che vedere con le persone e con le indagini di cui mi sono occupato e mi sto occupando.

Sulle restanti considerazioni dell’articolo, tengo a precisare che la mia attività di consulente tecnico dell’Autorità Giudiziaria – a parte le ironie - viene esercitata solo a richiesta e sotto il diretto controllo dei Magistrati e degli organi giurisdizionali dello Stato, che mi conferiscono gli incarichi.
Gli esiti della mia attività vengono integralmente estesi alle parti processuali e sui relativi contenuti si svolge la verifica dibattimentale, con le pronunce giudiziarie che, da un ventennio, hanno segnato il mio percorso personale e professionale.

Ecco perché penso che il miglior modo di considerare il mio operato, sia quello di rifarsi agli atti processuali che lo hanno valutato, più di quanto possa fare io, o quanti – spero in buone fede – travisano le mie dichiarazioni, o ancora peggio il mio pensiero.

Le chiedo pertanto di pubblicare questa mia breve nota, per onore di verità.
Penso che lei concorderà con me su questa opportunità, non foss’altro per la correttezza e la leale collaborazione, che in più occasioni ho offerto ai giornalisti della sua testata, che mi hanno contattato e che hanno redatto pagine intere, su temi scientifici assai importanti del mio lavoro.

Quegli articoli, però – a differenza di quello di oggi – hanno riscontrato solo e soltanto unanimi consensi ed apprezzamenti, nel mondo giudiziario e nelle altre testate giornalistiche, che li hanno ripresi.
Con Lionello Mancini, purtroppo, c’è stata qualche incomprensione, se vogliamo restare ottimisti.

Confido nella sua sensibilità, per cogliere gli ulteriori aspetti della vicenda, sui quali per brevità non mi soffermo.
Si renderà conto, gentile direttore, che essere censurati e se del caso anche diffamati da persone delle quali, per necessità d’ufficio, si è in qualche modo chiamati ad occuparsi, rientra nel gioco delle cose.

Tirarne in ballo delle altre – vive o morte – e contrappormele nonostante la mia volontà, il mio operato ed il mio pensiero, attiene ad un ambito della mistificazione della verità, che non appartiene alla mia storia ed ancor meno alle tradizioni del suo giornale.
Affido quindi a lei la migliore sintesi della rettifica, che la prego di pubblicare quanto prima sul suo giornale, ai sensi della legge sulla stampa.

Cordiali saluti
Palermo, 28 ottobre 2007
Gioacchino Genchi


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