TORNESE contro CREVALCORE: l'Italia si spaccò (tratto da un articolo di Sandro Picchi)

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Amario
00martedì 1 gennaio 2002 20:27
Tornese contro Crevalcore: l'Italia si spaccò
Tornese era biondo e generoso. Crevalcore era nero e bizzarro. La gente andava all'ippodromo come allo stadio e dopo la corsa scavalcava le ringhiere. Era la fine degli anni Cinquanta. Tornese portava senza saperlo il nome di un'antica moneta, era nato in un piccolo allevamento vicino a Como, la mattina del 13 giugno 1952. Il padre era uno stallone sauro, la madre una cavallina senza vittorie. Tabac Blond e Balboa, così si chiamavano i genitori di Tornese. Anzi, così si declamavano. Le genealogie dei cavalli da corsa avevano un ritmo che restava nella memoria e ne usciva come un frammento di poesia. Mistero, da Prince Hall e Naomi Gay. Ribot, da Tenerani e Romanella. Crevalcore, da Mighty Ned e Taggia. Tornese, da Tabac Blond e Balboa. A dire il vero, anzi a dire una malignità, correva voce che il padre di Tornese fosse un altro, ovvero sia il più noto stallone Pharaon che aveva vissuto per qualche tempo sotto lo stesso tetto di Balboa, della cui reputazione nessuno si preoccupò. Dopo aver sfiorato la macelleria - era magro e trottava piano - Tornese, forse memore del rischio corso, si assicurò la sopravvivenza diventando un cavallo leggendario. Il suo proprietario non gli risparmiò né corse né gloria. Lo tenne in pista fino al quintultimo giorno consentito dai regolamenti, alla soglia dell'undicesimo anno di età. Nel 1958 gli fece fare 31 corse, una media di quasi tre al mese. Tornese, che era docile in maniera perfino imbarazzante per un cavallo del suo rango, di quelle 31 corse ne vinse 27. Non protestava. Bionda la criniera al vento, correva e vinceva. Quando aveva già 10 anni, età limite per l'agonismo equino, trionfò ad Agnano nel «Lotteria». I napoletani invasero la pista, gli andarono incontro a centinaia per strappargli un ciuffo di criniera. Milano, a fine carriera, gli rese pubblico omaggio in piazza del Duomo. Crevalcore, il rivale, era di una nera e furibonda bellezza. Nasceva nobile, nel celebre allevamento Orsi Mangelli, e ne andava visibilmente fiero. Splendido e bizzoso, «rompeva» spesso e forse per questo venne ceduto ad altra scuderia. Finì in Toscana, alla «Valserchio» dei signori Giusti, dove lo adoravano come un idolo. Lo ricordiamo già stallone, nel box di Monsummano: Crevalcore, immenso come un palazzo, fece lampeggiare nell' altissimo occhio un segnale di pericolo. Il moro dette il meglio di sé con Vivaldo Baldi, la cui mano impareggiabile spense molte ribellioni. Vivaldo era perfetto in sulky, la coda di Crevalcore gli sventolava sul viso. Dall'altra parte, nel sediolo di Tornese, si avvicendavano i drivers, che il commendator Manzoni esonerava con cadenze calcistiche, ma il binomio classico era con Sergio Brighenti, altro mago del sulky, E' probabile che Tornese e Crevalcore abbiano maledetto i loro guidatori che gli imponevano lo sforzo e l'andatura. I duelli tra Tornese e Crevalcore restano indimenticabili, il biondo, che era più saggio e più completo, ne vinse in abbondanza. I successi del moro, che era più giovane di un anno, furono inferiori come numero, ma accesero il fuoco nei fans di Vivaldo e di Crevalcore, che erano come il cavallo che amavano: più passionali. A Cesena, nelle mani di Marcello Baldi, maturo zio di Vivaldo, Crevalcore sconfisse Tornese nella finale a due, dopo aver rotto in partenza. I romagnoli si esaltarono e scesero in pista a festeggiare. La rivalità era tale che nel 1959 il proprietario di Crevalcore lanciò la pubblica sfida scrivendo una lettera aperta al giornale «Trotto». Posta in palio 5 milioni, pista delle Mulina, distanza a scelta del clan Tornese. Non se ne fece di nulla, ma due anni dopo nel «Nazioni» a Milano, Crevalcore andò in testa e Tornese lo attaccò per tutta la corsa. Ne uscì una gara insensata, Crevalcore si fermò sull'ultima curva e rientrò in scuderia, Tornese finì la corsa ciondolando la bionda criniera, battuto da Nievo e da Erro. Dicono che il commenda Manzoni avesse ordinato a Brighenti di stroncare il rivale. Senza pensare al premio, per una volta. Succedeva anche questo, nell'ippica di una volta.


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