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by Claudione

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2014 11:10
08/06/2013 18:26
 
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..pochi sono a conoscenza...

Quando Hillary spiava il Cav per vincere la guerra del gas
Intrigo internazionale: svelate le strategie occulte di Berlino, Londra e Washington contro l'asse Roma - Mosca

«Quali sono i punti di vista dei funzionari del governo e di quelli dell'Eni sulle relazioni nel settore energia dell'Italia con la Russia e con il progetto South Stream... Vi preghiamo di fornire ogni informazione sui rapporti tra i funzionari dell'Eni, incluso il presidente Scaroni e i componenti del governo, specialmente con il primo ministro Berlusconi e il ministro degli Esteri (all'epoca Franco Frattini, ndr)».


La pressante richiesta d'informazioni è contenuta in un cablogramma segreto, datato gennaio 2010, inviato all'ambasciata di Roma dalla segreteria di stato Usa guidata da Hillary Clinton. La richiesta sembra quasi anticipare alcune inchieste giudiziarie destinate a colpire in periodi successivi alcune nostre importanti aziende di stato, impegnate in ambito internazionale. Ovviamente è azzardato pensare che le indagini della nostra magistratura italiana siano state influenzate dalle informazioni raccolte dai servizi segreti o dal personale diplomatico statunitense. Alla base di tutto c'è però il sospetto e l'ostilità per il rapporto personale stretto da Silvio Berlusconi e Vladimir Putin sin dal vertice di Pratica di Mare del lontano 2002. Un rapporto dalle inevitabili ricadute sul fronte della guerra per l'energia e delle condutture strategiche. Un rapporto che gli americani tengono sott'occhio fin dall'aprile 2008, quando un telex inviato dall'ambasciata statunitense a Roma al ministero del Tesoro di Washington consiglia di far pressione su Berlusconi, da poco rieletto, perché metta un freno all'alleanza tra Eni e Gazprom. «Bisognerebbe spingere il nuovo governo Berlusconi ad agire un po' meno come il cavallo scalpitante degli interessi di Gazprom... l'Eni - scrive il dispaccio confidenziale diventato poi pubblico grazie a Wikileaks - sembra appoggiare i tentativi di Gazprom di dominare le forniture energetiche dell'Europa, andando contro i tentativi americani, appoggiati dall'Unione Europea di diversificare le forniture energetiche».
Quell'informativa non incrina certo i rapporti tra l'amministrazione Bush e il Cavaliere, chiamato di lì a due anni a un intervento davanti al Congresso americano su richiesta della maggioranza repubblicana. Diventa però un pesante atto d'accusa quando a decidere le nuove strategie è l'amministrazione Obama. All'origine di quell'informativa ci sono gli incontri del 2 aprile 2008 tra il presidente dell'Eni Paolo Scaroni e Vladimir Putin nella dacia di Ogaryovo, in cui viene definito l'intervento di Gazprom in Libia e Algeria con l'aiuto dell'Eni e la partecipazione italiana al progetto South Stream. Quei due protocolli d'intesa diventano nell'era Obama un vero atto d'accusa nei confronti del governo Berlusconi, sospettato di favorire una manovra a tenaglia per imporre all'Europa l'egemonia energetica di Mosca. A far paura è soprattutto il South Stream, il progetto di gasdotto italo-russo-turco destinato a portare il gas del Caspio in Puglia e in Friuli Venezia Giulia, tagliando fuori l'Ucraina e passando per Turchia, Serbia e Slovenia. Un progetto in diretta competizione con il Nabucco, il gasdotto messo in cantiere da Ue e Usa per vendere in Europa il gas dell'Azerbaijan ed evitare così qualsiasi dipendenza dalla Russia.
In questo clima la foto di Putin, Berlusconi e del premier Turco Recep Tayyp Erdogan, che firmano - il 6 agosto 2009 - l'accordo per il passaggio delle tubature sotto il Mar Nero, si trasforma in un'autentica ossessione per l'amministrazione Obama e per i paesi dell'Unione Europea avversari di Mosca. Primi fra tutti la Francia e la Gran Bretagna. Nell'immaginario di quell'ossessione, South Stream rappresenta il piano di Berlusconi e Putin per stringere la Ue in una vera e propria ganascia energetica e ricattarla. Il secondo potente braccio di quella tenaglia immaginaria è rappresentato da «Greenstream» e «Transmed», le due condutture controllate dall'Eni che portano in Europa il gas dalla Libia e dall'Algeria. All'accerchiamento dell'Europa contribuisce su un terzo settore anche il North Stream, il gasdotto destinato a rifornire di gas russo il nord dell'Europa. Ma su quel progetto, appoggiato e voluto dalla Germania, nessuno fiata. South Stream e gli accordi Gazprom-Eni diventano, invece, il bersaglio preferito degli strali europei e americani. Bruxelles dichiara già nel 2008 di voler sorvegliare i crescenti interessi garantiti da Eni a Gazprom nel Nord Africa. E Andris Pielbags, al tempo commissario europeo dell'energia, mette in guardia dalla possibilità che Eni collabori con Gazprom anche in Algeria. Nel luglio 2010 il suo successore Guenther Oettinger, non si fa problemi a dichiarare che il South Stream non rientra negli interessi dell'Europa in quanto concorrente del Nabucco. La prima ad agire direttamente è Angela Merkel, che nel luglio 2010 vola ad Astana per chiedere al presidente Nursultan Nazarbayev di mettere il gas kazako a disposizione del Nabucco. Da quel momento la vera tenaglia diventa quella messa insieme da Washington e Londra da una parte e da Parigi e Berlino dall'altra. Una tenaglia studiata per schiacciare l'asse Roma-Mosca e annullarne gli effetti.
Il primo a sfruttare il cambio di strategia introdotto dall'amministrazione Obama è il presidente francese Nicolas Sarkozy. Sospettato e accusato di aver beneficiato di 50 milioni di euro, messigli a disposizione dal rais per la sua elezione, Sarkò si ritrova, come gli inglesi, incapace di tessere un rapporto proficuo con Gheddafi. Nonostante il Colonnello abbia piantato la sua tenda nel cuore di Parigi assai prima che a Roma, la Total porta a casa solo 55mila barili di petrolio al giorno contro gli oltre 280mila della nostra Eni. La «tenaglia» Eni-Gazprom rischia di rendere inutili anche gli accordi per la vendita sul mercato europeo del gas stretti da Parigi con l'emirato del Qatar. Un emirato a cui Sarkozy fa di tutto per «regalare» i campionati mondiali di calcio del 2022.
La deflagrazione delle cosiddette primavere arabe sponsorizzate e appoggiate dal Qatar è un altro atto importante per avvicinare le posizioni dei principali avversari dell'asse Roma-Mosca-Tripoli. Il vero colpo da maestro il Qatar lo realizza in Libia, dove accende la rivolta manovrando gli ex al qaidisti tirati fuori dalle galere di Gheddafi grazie a una mediazione con il figlio Saif. Come è risaputo, la rivolta di Bengasi si realizza solo grazie alla defezione di Adnan al Nwisi, un colonnello dell'esercito libico sul libro paga del Qatar, che consegna a un gruppo jihadista un deposito di armi della città di Derna. I 70 veicoli e i 250 fucili razziati in quell'arsenale consentono qualche giorno dopo di espugnare il quartier generale di Bengasi e accendere la rivolta che porterà alla caduta di Gheddafi. Una caduta che Berlusconi, libero dall'immagine devastante cucitagli addosso dal processo Ruby, avrebbe potuto forse evitare. La fine del Colonnello non porta la democrazia in Libia, ma si rivela perfetta per smantellare gli interessi di Eni e Gazprom, per rendere più debole l'economia dell'Italia e aggravare quella crisi che porterà, alla fine del 2011, alle dimissioni del governo Berlusconi e all'avvento del governo «europeista» e «atlantista» di Mario Monti.

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...

Così Sarkozy fregò Gheddafi (e l'Italia)
Le Monde: Nicolas trascinò l'Europa in guerra per nascondere gli aiuti del Colonnello. Ora cerca di cancellare le prove


..ma va...


I servizi segreti sono alla caccia di settanta scatoloni pieni di cassette audio e video che contengono le registrazioni degli incontri e delle telefonate fra il defunto colonnello Gheddafi ed i dignitari di mezzo mondo, quando veniva trattato con i guanti bianchi.


Il primo a doversi preoccupare degli scottanti contenuti delle registrazioni è l'ex presidente francese Nicolas Sarkozy, come sostiene il quotidiano le Monde che è tornato sul finanziamento libico alla campagna elettorale di Sarkozy nel 2007.
Nel marzo 2011, poche ore prima dei bombardamenti della Nato sulla Libia, Muammar Gheddafi rilasciava a il Giornale l'ultima intervista della sua vita ad una testata italiana. Alla domanda sull'interventismo francese che ha spinto in guerra mezza Europa, compreso il nostro Paese, rispondeva: «Penso che Sarkozy ha un problema di disordine mentale. Ha detto delle cose che possono saltar fuori solo da un pazzo». E per ribadire il concetto si sporgeva verso chi scrive battendosi il dito indice sulla tempia, come si fa per indicare i picchiatelli. Il Colonnello non riusciva a comprendere come l'ex amico francese, che aveva aiutato con un cospicuo finanziamento (forse 50 milioni di euro) per conquistare l'Eliseo fosse così deciso a pugnalarlo alle spalle.
Dell'affaire Sarkozy erano al corrente tre fedelissimi di Gheddafi: il responsabile del suo gabinetto, Bashir Saleh, Abdallah Mansour consigliere del Colonnello e Sabri Shadi, capo dell'aviazione libica. Saleh, il testimone chiave, vive in Sudafrica, ma nel 2011 era apparso in Francia e poi sparito nonostante un mandato cattura dell'Interpol. Il caso era stato gestito da Bernard Squarcini, uomo di Sarkozy, ancora oggi a capo del controspionaggio. E sempre Squarcini è coinvolto nella caccia alle cassette scottanti di Gheddafi, che potrebbero contenere gli incontri con altri leader europei. Silvio Berlusconi non ha mai nascosto l'amicizia con il colonnello, mentre Romano Prodi e Massimo D'Alema, che pure avevano frequentato la tenda di Gheddafi cercano sempre di farlo dimenticare.
Lo sorso anno un politico francese di sinistra, Michel Scarbonchi, viene avvicinato da Mohammed Albichari, il figlio di un capo dei servizi di Gheddafi morto nel 1997 in uno strano incidente stradale. Albichari sostiene che un gruppo di ribelli di Bengasi ha sequestrato «70 cartoni di cassette» di Gheddafi. Scarbonchi si rivolge al capo del controspionaggio, che incontra il contatto libico. «Avevano recuperato la videoteca di Gheddafi con i suoi incontri e le conversazioni segrete con i leader stranieri» conferma Squarcini a Le Monde. I ribelli vogliono soldi e consegnano come esca una sola cassetta, di poca importanza, che riguarda il presidente della Cosa d'Avorio. Il materiale è nascosto in un luogo segreto. Pochi mesi dopo Albichari sostiene di essere «stato tradito» e muore per una crisi diabetica a soli 37 anni. Non solo: il corpo di Choukri Ghanem, ex ministro del Petrolio libico, custode di ulteriori informazioni sensibili, viene trovato a galleggiare nel Danubio a Vienna.
La caccia alle registrazioni del Colonnello deve essere iniziata nell'ottobre 2011, quando la colonna di Gheddafi è stata individuata e bombardata da due caccia Rafale francesi. Il rais libico era stato preso vivo, ma poi gli hanno sparato il colpo di grazia. «L'impressione è che dopo il primo gruppo di ribelli sia arrivato un secondo, che sapesse esattamente cosa fare e avesse ordini precisi di eliminare i prigionieri» spiega una fonte riservata de il Giornale che era impegnata nel conflitto. L'ombra dei servizi francesi sulla fine di Gheddafi è pesante. Sarkozy non poteva permettersi che il colonnello, magari in un'aula di tribunale, rivelasse i rapporti molto stretti con Parigi. La Francia ci aveva tirato per i capelli nella guerra in Libia stuzzicando Berlusconi sui rapporti con Gheddafi. Peccato che Sarkozy ne avesse di ben più imbarazzanti.
Delle cassette di Gheddafi non si sa più nulla. L'unico che potrebbe far luce sul suo contenuto è Seif al Islam, il figlio del colonnello fatto prigioniero, che i libici vogliono processare e condannare a morte.


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