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by Claudione

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2014 11:10
15/04/2012 09:33
 
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Ancora una volta protagonisti i mutui
E ancora una volta, ne bene e nel male, i mutui sono al centro delle attenzioni degli investitori. Proprio venerdì 13 aprile JP Morgan e Wells Fargo (rispettivamente la prima banca statunitene per asset e la prima per capitalizzazione di mercato) hanno presentato agli investitori i conti del primo trimestre. Il giro d'affari di Jp Morgan è aumentato del 6% a 26,7 miliardi di dollari anche grazie al segmento del credito ai consumatori cresciuto nel primo trimestre a 1,75 miliardi rispetto al rosso di 399 milioni di un anno fa. Gli utili sono però diminuiti del 3,1% a 5,4 miliardi di utili a causa degli accantonamenti per far fronte alle massicce spese sulle cause legate alla vendita di prodotti derivati agganciati ai subprime. Anche Wells Fargo ha visto aumentare il fatturato (+6,4%). Bene l'utile (+13% a 4,2 miliardi) nonostante anche in questo caso l'istituto abbia dovuto svalutare, complici anche le spese legali sui "vecchi mutui", 430 milioni di dollari.

Quindi i mutui, nel bene e nel male, continuano a contrassegnare l'andamento delle banche americane. I "nuovi mutui", spinti dalla ripresa del mercato immobiliare favorito da tassi bassi (la Federal Reserve ha indicato che resteranno eccezionalmente bassi almeno fino al 2014) stanno trainando i conti trimestrali. Allo stesso tempo i "vecchi mutui" (e le spese legali agganciate ai derivati collegati ad essi venduti spesso a clientela retail ignara dei rischi dell'investimento) rosicchiano parte della spinta propulsiva sui conti dei nuovi contratti.

Per questo motivo, ieri i titoli delle due banche hanno perso terreno a Wall Street (trascinando il resto del comparto). Anche se a detta degli esperti i bilanci delle due banche offrono un quadro moderatamente incoraggiante della ripresa in corso negli Stati Uniti.

La sbornia subprime non è ancora passata
È vero. Le big bank americane stanno correndo da inizio anno. Ma se allarghiamo lo sguardo da luglio 2007 - quando è difatti scoppiata la bolla dei derivati subprime - il passivo in Borsa resta ancora massiccio. Si va dal -81% di Bank of America, dal -73% di Morgan Stanley, al -41% di Goldman Sachs e al -29% di Citigroup. Mentre hanno quasi azzerato del tutto le perdite Wells Fargo (-5%) e Jp Morgan (-3,5%) (guarda la tabella completa delle performance in Borsa).

Ombra sul futuro
C'è da capire a questo punto, per capire se il rally delle banche Usa inanellato da inizio anno possa proseguire, quanto l'ombra dei vecchi mutui continuerà a pesare sulla crescita dei nuovi mutui e dei conti di bilancio. Nella speranza che questi nuovi prestiti non si trasformino in una seconda edizione dei subprime. Perché questa volta tanto gli Stati Uniti, ma soprattutto l'Europa (travolta dalla crisi dei debiti originata a valle proprio dal contagio dei derivati subprime) non hanno più in faretra frecce per scacciare un'altra crisi.
19/04/2012 10:20
 
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......si può fare .....senza troppo peso fiscale su imprese e persone fisiche....
Se ci fosse ancora bisogno di capire e di dimostrare perché l'economia dell'Italia da anni non cresce e per anni non crescerà con le decisioni finora prese dal pur qualificato governo tecnico del presidente Mario Monti, basta dare uno sguardo alle torte del grafico pubblicato a pagina 4. È tratto da Les Echos, il principale quotidiano economico francese ben lontano dalle posizioni di affiancamento degli investitori e speculatori del mondo anglosassone come il Financial Times. Con il titolo «Le plans d'economie en Europe» e il sottotitolo «Cumule des plans decides depuis 2010 et objectif», il grafico già nella dimensione della torta indica come il problema italiano sia macroscopicamente il più grave: le manovre dal 2010 al 2012 hanno raggiunto l'impressionante entità di 232 miliardi di euro, ma l'aspetto più grave, nettamente evidente in base al diverso colore in cui è divisa la torta, è che ben il 72% dei 232 miliardi sono tasse in più prelevate dalle tasche e dalle casse dei cittadini e delle imprese italiane; soltanto il 28% proviene da riduzione della spesa pubblica. Se poi si vanno a esaminare le torte degli altri Paesi in difficoltà, le cause della non crescita dell'Italia appaiono ancora più evidenti, come evidente appare l'errore di perseverare da parte del governo in questa direzione: la Gran Bretagna, che pure se la passa male, molto male, dal 2010 ha effettuato manovre pari a 130 miliardi, quindi più di 100 in meno dell'Italia, e soltanto il 20% viene dal rialzo delle tasse; la Spagna, sempre dalla stessa data, ha compiuto o varato manovre pari a 80 miliardi di euro, provenienti solo per il 33% da un inasprimento fiscale; e perfino la Grecia, già quasi dichiarata fallita, ha una percentuale di prelievo fiscale aggiuntivo sulla manovra che è quasi la metà di quello italiano. Idem per gli altri due Paesi periferici, cioè Irlanda e Portogallo. Tutti i Paesi europei dentro o fuori dall'euro, più o meno vicini al fallimento, hanno scelto la strada di tagliare le spese pubbliche nettamente di più che aumentare le tasse, ben consapevoli che più soldi si prelevano a cittadini e imprese e meno ce ne saranno per i consumi e gli investimenti, senza i quali l'economia non può svilupparsi e il Paese entra in una spirale perversa dalla quale è difficilissimo uscire.

Ma sono anche gli obiettivi delle varie manovre che chiariscono ancora di più come gli ultimi governi e in maniera ancora più marcata quello in carica abbiano visto una sola strada per difendersi dalla speculazione e, soprattutto, per soddisfare la brama di sangue della cancelliera Angela Merkel e dei suoi brutali banchieri centrali. L'Italia è l'unico Paese che si è posto e si è assunto il pesantissimo obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013. La Gran Bretagna fa parte dell'Unione europea ma è (saggiamente) fuori dall'euro e si è guardata bene dal firmare il Fiscal compact imposto a 25 Paesi su 27 dalla Germania per una riduzione del debito eccedente il 60% del prodotto interno lordo di 1/20 all'anno; il suo obiettivo è di ridurre il deficit del bilancio pubblico al 2% del pil ma in un arco di tempo superiore di ben due anni rispetto al 2013 dell'Italia. E anche la Spagna, che ha firmato il Fiscal compact ed è nell'euro, ha assunto l'impegno al 2013 ma per un deficit pubblico pari al 3% contro il pareggio italiano. Per non parlare degli obiettivi temporali e di deficit degli altri Stati periferici.

Che l'Italia avesse e abbia bisogno di un rigore superiore a tutti gli altri Paesi dell'Unione è fuori discussione, essendo da decenni afflitta dal cancro dello stock di debito pubblico più alto del continente in relazione al pil. E quindi tutti gli italiani hanno nelle orecchie le parole di spiegazione dell'ultima sanguinosa manovra fiscale da parte del professor Monti: per il suo enorme debito l'Italia era sull'orlo del fallimento; dovevamo dimostrare ai mercati che siamo pronti al rigore. Certo, professor Monti, la situazione che Lei si è trovato a governare era drammatica, ma il rigore lo si dimostra non solo spremendo gli italiani e le imprese italiane che pagano regolarmente le tasse. Se è semplice aumentare l'Iva, se è doloroso ma semplice riformare e allungare le pensioni, se è semplice aumentare le accise sulla benzina, se è semplice rimettere la vecchia Ici anche sulla prima casa portando di fatto, con l'Imu, il prelievo su tutti gli immobili a circa l'1% del loro valore all'anno; se è semplice, anche se crediamo che non lo abbia fatto assolutamente a cuor leggero, mettere nuove più dure tasse, altrettanto semplice sarebbe stato e sarebbe tagliare drasticamente le spese pubbliche. Invece, il suo ministro specialista, il bravo professor Piero Giarda che da oltre 15 anni si occupa del problema, sta ancora studiando la materia, pomposamente chiamata spending review. E intanto il Paese langue, si avvita su se stesso, si avvizzisce; la recessione è sempre più cruda; molti capitali sono scappati all'estero, per un valore di 70 miliardi quelli che hanno rispettato le regole e sicuramente altrettanti clandestinamente. La fiducia degli italiani e soprattutto quella degli imprenditori sta scendendo a zero. Molte aziende chiudono o si apprestano a farlo. Alcuni piccoli imprenditori si sono suicidati o dati fuoco. Eppure, Lei sa bene che il fattore psicologico ha un peso importantissimo sull'andamento dell'economia. Anche i Suoi colleghi Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, sul Corriere della Sera di mercoledì 11, Le hanno detto chiaro: «Ora date un taglio alle troppe spese». Possibile che né da Lei né dal ministro Giarda sia arrivata una parola di imminente azione per i tagli?

Per alcuni mesi Lei, legittimamente, ha potuto far valere non solo un più che certo recupero di credibilità dell'Italia in Europa tanto da potersi porre anche come possibile leader alternativo dei Paesi non allineati alla Germania; inoltre ha potuto far valere la forte riduzione, fin quasi al dimezzamento, del più pericoloso indice di affidabilità del debito italiano, quello spread o differenza fra i tassi richiesti alla Germania e quelli richiesti per sottoscrivere i Btp e gli altri titoli di Stato italiani. Ma come era facile prevedere (e a MF-Milano Finanza, ci creda, non amiamo ripetere «noi lo avevamo detto», anche se in buona compagnia del Corsera, il Suo giornale) che al primo stormir di fronde lo spread sarebbe rimbalzato e la speculazione avrebbe ripreso fiato. Anche perché era chiaro a tutti che le buone performance sul piano della credibilità e del rigore sarebbero servite non a molto, senza l'intelligente e coraggioso intervento del presidente della Bce, Mario Draghi, di concedere centinaia di miliardi di liquidità alle banche dei vari Paesi europei e per oltre il 27% di questa liquidità alle banche italiane, che sono tornate a comprare i titoli di Stato nazionali.

Nei giorni scorsi, appunto come si era previsto, è ricominciata la danza della speculazione e naturalmente il Paese più esposto, con anche la sua borsa, è stata l'Italia.

Lei, legittimamente, ha spiegato che erano state la diminuzione di fiducia verso la Spagna e le parole di critica sulla riforma del lavoro da parte del presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, a spingere gli investitori a non comprare e anzi a vendere titoli italiani fino a far risalire lo spread a 400 punti base. Il ministro Corrado Passera ha aggiunto che il cattivo umore dei mercati è stato influenzato dalla flessione dell'export cinese e dall'andamento dell'occupazione in Usa. È fuori dubbio che i mercati sono globali e quindi collegati, ma diciamoci la verità, Signor Presidente, quelle esposte sono concause marginali. La causa vera è una e una sola: la convinzione dei mercati che l'Italia, con le scelte di spingere solo sull'aumento delle tasse, non si svilupperà nella maniera sufficiente a tagliare il debito, che resta il vero cancro del Paese e il vero differenziale rispetto a tutti gli altri maggiori Paesi dell'Europa. A giugno, per l'effetto combinato della riduzione del pil (stimato dal Fondo monetario al 2,2% su base annua), il maggior costo degli interessi per il servizio del debito e i mancati tagli della spesa pubblica, il rapporto pil/stock del debito salirà dal 120 al 125% e quando il dato sarà acclarato la speculazione potrà essere ancora più pesante dei giorni scorsi.

Inutile girarci intorno: come Le ha ricordato con pacatezza, ma speriamo con determinazione, il segretario del maggior partito che Le dà l'appoggio, il giovane Angelino Alfano, faccia finta di essere a capo di una famiglia che possiede un discreto numero di case ma ha un debito insopportabile. Cosa farebbe? Venderebbe una buona parte delle case per pagare il debito e quindi ridurre il peso degli interessi che mettevano in crisi la famiglia. È da mesi che questo giornale, gli altri media di Class Editori ma soprattutto oltre 10 mila fra economisti, imprenditori, manager, leader sindacali, continuano a spingere il governo verso una scelta inevitabile. Il professor Andrea Monorchio, per la sua esperienza di ragioniere generale dello Stato e quindi primo conoscitore del bilancio, ha fornito cifre e soluzioni tecniche per ridurre in tre anni il debito di almeno 300 miliardi vendendo il patrimonio (una parte del patrimonio) dello Stato e degli enti locali agli italiani. Le vie per farlo sono numerose: c'è la via fiscale di esentare da imposte i guadagni di rendimento e di capitale delle quote del fondo o della spa dove trasferire i beni pubblici, acquistate da cittadini italiani; c'è la via di garantire quegli investimenti con le riserve di oro della Banca d'Italia eccedenti l'obbligo di deposito presso la Bce? Ci vuole la volontà di farlo, mentre il Paese è sempre più convinto che anche il Suo governo, Signor Presidente, non voglia andare a toccare i privilegi e il potere che ruota intorno a quel patrimonio, così com'è convinto (se ne convinca) che anche il continuo rinvio dei tagli della spesa pubblica abbia le stesse motivazioni. E non trascuri che questi convincimenti sono anche frutto della constatazione che sulla riforma del lavoro alla fine (come dimostra il plauso di una parte, la più contestatrice, la Cgil) il governo abbia ceduto al compromesso imposto dal Pd. Nel gioco delle giustificazioni dei governi, non Le sarà sfuggito che il governatore della Banca di Spagna ha citato proprio questo aspetto per ribaltare sull'Italia la responsabilità della ripresa della speculazione. Tuttavia si sa che questo è una sorta di gioco delle parti, poiché la malattia vera è un'altra. E senza tagliare subito e drasticamente il debito l'Italia sarà sempre il ventre molle dell'Europa. E senza tagliare il debito non si ricreerà in tempo utile il circolo virtuoso di cui tutti gli italiani hanno bisogno.

La spiegazione che assieme al taglio delle spese (subito) va subito tagliato il debito, Lei la può trovare in un lucido articolo di Federico Fubini sul Corriere (mi consenta di ripetere: il Suo giornale) di mercoledì 11: «Perché in 15 giorni il rischio Italia è salito di 130 punti». Perché senza il taglio netto del debito gli investitori non credono che l'Italia ce la possa fare. Perché dei 1.019 miliardi di euro che la Bce ha concesso alle banche per tre anni all'1%, ben 260 miliardi sono stati ritirati dalle banche italiane, che hanno potuto dare in garanzia anche i 40 miliardi di obbligazioni bancarie che lo Stato italiano ha garantito, in un circuito perverso, visto che larga parte dei miliardi ricevuti, gli istituti di credito italiani li hanno usati per comprare titoli di Stato. È stato verificato che le banche italiane hanno aumentato la loro esposizione in titoli italiani di ben 54 miliardi rispetto a prima della crisi. E le prime cinque banche italiane hanno perso nel 2011 ben 28 miliardi di euro per il crollo di valore dei titoli di Stato che avevano in portafoglio. Sarà sicuramente utile che il ministro Passera chieda alle banche, come sta facendo, di scontare i crediti che gli italiani hanno verso lo Stato per un importo di 80 miliardi. Ma anche questa manovra, che comunque costerà alle aziende, non sarà che una boccata di ossigeno, come lo è stata la coraggiosa decisione di Draghi di immettere, contro il parere dei tedeschi, mille miliardi di liquidità nel sistema europeo. Ma perché l'Italia possa uscire dalla crisi, perché il meccanismo della crescita riparta, occorre che le banche tornino a fare il mestiere di prestare il denaro alle aziende invece di doverlo usare per sostenere il debito pubblico. E perché le banche recuperino coraggio nel fare le banche occorre che il debito pubblico sia tagliato, sì che il denaro per l'Italia nel suo complesso torni a costare quanto per gli altri Paesi, per le altre banche, per le altre aziende. Allora si potrà ridurre la pressione fiscale; si potrà condurre con equilibrio la doverosa, ma inevitabilmente lunga, lotta all'evasione, si potranno cancellare quelle forzature che oggi scoraggiano gli imprenditori e i consumatori nella spirale perversa che si è formata. E lo Stato potrà avere le risorse per realizzare quelle infrastrutture che non solo ammoderneranno il Paese, ma saranno una sorta di additivo per la ripresa.

Signor Presidente Monti, non esiti, non si faccia impaniare dal vischio che Roma e non solo Roma produce in grande quantità. L'analisi è lì, sotto i suoi occhi, se è vero che servivano più tasse per calmare gli assatanati tedeschi e il mercato, se è vero che occorre tagliare la spesa pubblica, subito, e i tagli da fare sono molti, se è vero che le banche vanno stimolate a tornare a fare il loro mestiere, se è vero tutto questo, è vero che il cancro, non le metastasi, del Paese è quel mostruoso stock di debito pubblico, sempre più insostenibile più si fanno manovre di prelievo invece che di sviluppo.

[SM=g1430727]
[Modificato da udineipp53 19/04/2012 10:22]
19/04/2012 13:41
 
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....sembro noioso.....ma cari virtuali una piccola lettura ....e....
Anche la manovra economica decisa dal Governo Monti per consolidare l’obiettivo di azzerare il deficit nel 2012 è essenzialmente concentrata sull’aumento della pressione fiscale: la nuova tassazione non risparmia nulla, dai redditi ai consumi, dalle abitazioni agli investimenti mobiliari, ovunque siano localizzati in Italia o all’estero. In mancanza di queste misure draconiane, ribadiscono quotidianamente esponenti del Governo, avremmo già avuto il tracollo del valore del debito pubblico sui mercati finanziari oltre alla drammatica certezza dell’insuccesso delle prossime aste di Bot e Btp.
Ora, è possibile che ciò sia vero, ma il prezzo che l’economia sta già pagando è la recessione, come confermano le rilevazioni dell’Istat. Le imprese stentano ad approvvigionarsi di credito e le stesse banche a fornirlo, visto che i tassi di interesse sul debito pubblico trascinano verso l’alto, per tutti, il costo del denaro. L’Italia si sta dunque avvitando in una spirale perversa mentre il premio al rischio cresce ogni giorno che passa per via della recessione; non bastasse, l’onere per gli interessi sul debito dello Stato drena dall’economia reale oltre 80 miliardi l’anno - tutti prelevati attraverso la tassazione - di cui metà elargiti all’estero.

La strada maestra per uscire dalla palude resta dunque il taglio del debito, subito ed in maniera drastica: un obiettivo su cui nessun Governo ha voluto ancora seriamente cimentarsi, preferendo riassorbire il debito con l’avanzo primario sul bilancio. Il risultato, dal 1992, non è mai cambiato: sempre più tasse, sempre meno servizi pubblici, sempre lo stesso debito.

La soluzione c’è; attuarla è più urgente che mai. Si tratta di conferire tutto il patrimonio disponibile dello Stato (non meno di 300 miliardi) in un unico “Fondo patrimoniale degli Italiani”, le cui quote verrebbero acquisite dalle famiglie, sia prevedendo l’obbligo ad investire sia consentendo di conferire titoli del debito pubblico in circolazione. Nel Fondo si dovrebbe far confluire oltre alle proprietà immobiliari anche le azioni di imprese pubbliche possedute dal Tesoro, quotate e non, per la parte eccedente il loro controllo. Le famiglie italiane diverrebbero così direttamente proprietarie di quote di un fondo comune di investimento, con un impiego immediatamente fruttifero delle proprie risorse finanziarie, un impiego che se ben gestito troverebbe peraltro sicura rivalutazione nel tempo. Per avere un’idea di ciò che si metterebbe in moto, basti osservare che il completamento dell’operazione (che può essere diluita in due-tre anni) comporterebbe la riduzione del 20% nel rapporto debito/pil.

Il risparmio per il bilancio dello Stato sarebbe immediato: diminuirebbero sia il servizio del debito sia i tassi di interesse. L’intera economia italiana ne beneficerebbe immediatamente. Anziché lasciarci tassare inutilmente, solo per continuare e pagare alti interessi sul debito pubblico, è arrivato il momento di riscattarlo, ricomprandolo.


Prima proposta

Istituzione del Fondo patrimoniale degli Italiani

Scarica e leggi l'articolato della proposta di legge

Commento/ Ricompriamoci il debito, è la sola via

La situazione attuale dell'Italia ricorda per certi aspetti gli eventi che nel 1926 portarono alla Quota Novanta Allora fu necessario un provvedimento fortemente punitivo per gli investitori. Oggi si può fare molto meglio.

La situazione del debito pubblico italiano, la crescita estremamente modesta del prodotto interno che caratterizza l'economia da oltre un ventennio e i vincoli derivanti dall'adozione dell'euro a partire dal 2001 richiamano alla memoria il periodo in cui si dovette recuperare il rapporto di cambio tra lira e sterlina esistente nel 1919, la cosiddetta Quota Novanta, al fine di riconquistare credibilità sui mercati finanziari internazionali, con l'adozione di politiche fortemente restrittive sulle dinamiche dei redditi interni. Nel 1926, infatti, il cambio tra lira e sterlina era arrivato a 153 e i mercati finanziari iniziarono a dubitare fortemente della capacità dell'Italia di onorare gli impegni: i capitali stranieri investiti in Italia avevano cominciato a ritirarsi precipitosamente.

Continua...

Guido Salerno Aletta


Seconda proposta

Misure strutturali per la stabilizzazione finanziaria e l'abbattimento del debito delle Pubbliche amministrazioni

Scarica e leggi l'articolato della proposta di legge

Commento/ Il debito? Si taglia così

L'abbattimento del 60% in 20 anni non sarà mai ottenibile, anche con una crescita robusta. Ecco allora due misure precise: risparmio forzoso su tutti i pagamenti della Pubblica Amministrazione e nuova emissione di titoli con garanzia immobiliare privata, remunerata e incentivata fiscalmente

Prima o poi, arriva il momento in cui si devono fare i conti con se stessi, con la propria storia e soprattutto con il futuro.

L’Italia è alle prese con un vero, grande problema: il debito pubblico è alto ma soprattutto costa troppo. La situazione è ben diversa dagli anni 80 e 90: allora la spesa pubblica era fuori controllo. Ora no. Ma il livello del debito rende deboli sui mercati finanziari e drena inutilmente risorse verso la rendita.

Rispetto al passato, occorre quindi un’analisi profondamente diversa, sia sul piano economico finanziario, ma soprattutto sul versante politico ed istituzionale. All’interno e nei confronti dell’Unione europea. Non c’è alcuna solidarietà su cui possiamo contare: si è visto con la Grecia. La proposta di emettere eurobond, pure sostenuta a più riprese dall’Italia per sottrarre alla speculazione i debiti sovrani dei Paesi più a rischio, è stata bocciata da Francia e Germania: per ragioni egoistiche, ma ben comprensibili. Non vogliono pagare interessi più elevati sul proprio debito. Se ne riparlerà in futuro, forse, quando ognuno si sarà rimesso in carreggiata, quando non serviranno più a bilanciare le diverse posizioni, a mediarle: quando  saranno divenuti superflui. Da qui occorre partire: ognun per sé. 

Continua... 

Guido Salerno Aletta
19/04/2012 13:44
 
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Caldissime
Il debito si taglia così
Di Guido Salerno Aletta
Prima o poi, arriva il momento in cui si devono fare i conti con se stessi, con la propria storia e soprattutto con il futuro.
 
L’Italia è alle prese con un vero, grande problema: il debito pubblico è alto ma soprattutto costa troppo. La situazione è ben diversa dagli anni 80 e 90: allora la spesa pubblica era fuori controllo. Ora no. Ma il livello del debito rende deboli sui mercati finanziari e drena inutilmente risorse verso la rendita.
 
Rispetto al passato, occorre quindi un’analisi profondamente diversa, sia sul piano economico finanziario, ma soprattutto sul versante politico ed istituzionale. All’interno e nei confronti dell’Unione europea. Non c’è alcuna solidarietà su cui possiamo contare: si è visto con la Grecia. La proposta di emettere eurobond, pure sostenuta a più riprese dall’Italia per sottrarre alla speculazione i debiti sovrani dei Paesi più a rischio, è stata bocciata da Francia e Germania: per ragioni egoistiche, ma ben comprensibili. Non vogliono pagare interessi più elevati sul proprio debito. Se ne riparlerà in futuro, forse, quando ognuno si sarà rimesso in carreggiata, quando non serviranno più a bilanciare le diverse posizioni, a mediarle: quando  saranno divenuti superflui. Da qui occorre partire: ognun per sé.

La prima questione è rappresentata dal costo eccessivo del debito pubblico italiano: una causa non secondaria sia della mancata crescita sia della scarsa efficienza delle pubbliche amministrazioni. Il servizio del debito drena risorse fiscali enormi: solo nel 2010 il conto economico delle amministrazioni pubbliche presenta interessi passivi per 70,4 miliardi di euro. Sono denari prelevati dalle tasche dei contribuenti e delle imprese che vanno ad onorare gli impegni finanziari. Ma c’è di peggio, perché il 45% del debito pubblico italiano è in mani straniere: quello in mano al sistema bancario che riferisce alla Bri a marzo 2011 era appena di 268,3 miliardi di dollari. Tutto il resto è in mano a governi sovrani, fondi monetari, hedge fund e fondi pensione, a cui a pagare rendite annue del 3,9% sul capitale, pari al tasso medio corrisposto sul debito. Su un onere per interessi pari al 4,62% del pil, quasi la metà si è trasferito fuori dai confini: il 2% annuo. Nel 2010 sono stati 33 miliardi di euro, una cifra di poco inferiore all’intero ammontare di tutti gli investimenti fissi lordi delle PA, pari a 38 miliardi. Ad averli risparmiati, si potevano raddoppiare le spese per opere pubbliche.
 
La seconda riflessione va fatta sulla strategia di abbattimento del debito, inaugurata dopo la crisi del 1992: privatizzazioni ed avanzo primario. E’ stata una stagione complessa e lunga, che ha consentito di scendere da un rapporto debito/pil del 122% ad appena il 103% nel 2006. Ma la creazione dell’avanzo primario di bilancio (il saldo positivo tra le entrate e le spese al netto degli interessi) ha sfiancato la crescita. Dopo la crisi, non solo si è tornati al 120%, ma c’è da fare i conti con l’azzeramento del rapporto deficit/pil nel 2013 e con l’obiettivo di ridurre il rapporto debito/pil al 60% in venti anni, al ritmo del 5% all’anno. Se il debito complessivo è arrivato a circa 1.800 miliardi di euro, significa dimezzarlo con venti manovre da 45 miliardi ciascuna. C’è chi spera che sarà la crescita a diluire l’onere: ma per farlo il pil annuo dovrebbe crescere del 5% in termini reali. Visto il trend di crescita degli ultimi trent’anni, è una utopia. Il rischio, che ormai si sta palesando, è che vada in crisi non solo il sistema economico, ma anche quello delle rappresentanze politiche ed istituzionali.
 
L’alternativa, più volte riproposta anche di recente, è rappresentata dal ricorso ad una imposta patrimoniale: ma non è altro che il trasferimento di attivi dalla collettività allo Stato, che ricomprerebbe i titoli pubblici in circolazione abbattendo il debito. Visti i tracolli di borsa e le perdite di quest’ultimo anno, si suggerisce il prelievo sul patrimonio immobiliare delle famiglie italiane: ampio, ricco, solido. Il fatto è che sono case prevalentemente case di abitazione: per pagare la patrimoniale occorrerebbe allungare il mutuo in corso o farne uno nuovo. Con le banche italiane che avrebbero in prospettiva titoli sub prime. Per non parlare dei tassi da pagare, molto più alti di quelli che oggi gravano sul debito pubblico. Sullo stesso stock di debito si pagherebbe comparativamente di più e si peggiorerebbero gli attivi bancari: un rimedio peggiore del male. Occorre pensare a qualcosa di molto diverso.
 
In terzo luogo, occorre ragionare in termini diversi anche in ordine al costo del finanziamento del debito: continua ad essere una variabile esogena, stabilita dai mercati. Così, il profilo degli spread è da cardiopalma. La stabilizzazione del debito e la sua riduzione, così come vengono prospettati, presuppongono almeno la stabilità del tasso di interesse corrisposto finora. Non si tratta solo di tenere d’occhio il differenziale con i Bund, ma occorre fare i conti con l’andamento del tasso di sconto, salito dello 0,5% in tre mesi. Manovra improvvida, quella della Bce, che ha traslato verso l’alto l’intero sistema dei tassi. Così, piazzare i titoli pubblici all’atto del loro rinnovo costerà di più. In termini di fabbisogno finanziario annuale, occorre in ogni caso emettere titoli che rimpiazzino quelli in scadenza al netto dell’avanzo primario dell’anno. Pertanto, ogni variazione verso l’alto del tasso di interesse medio sul debito decelera la stabilizzazione del debito. Un aumento che vanifica, in tutto o in parte, il risparmio pubblico realizzato con l’avanzo primario. Un possibile aumento strutturale del tasso medio di interesse sullo intero stock di debito rende ancora più ardua la politica fin qui adottata per la stabilizzazione e la riduzione del debito.
 
Occorre una strategia diversa, dal punto di vista sociale, economico- finanziario e politico. Il primo obiettivo da perseguire è preliminare all’abbattimento del rapporto debito/pil: bisogna ridurre drasticamente il costo degli interessi, allineandolo a quello degli Stati che attualmente vengono considerati i migliori prenditori (Giappone, Usa e Germania), sottraendo il debito pubblico alla speculazione internazionale e riducendo il trasferimento di risorse fiscali all’estero.
Il ragionamento si deve quindi concentrare sul profilo della equità sociale, superando la contrapposizione tra contribuenti attraverso la tassazione e beneficiari della spesa pubblica, cercando il miglior mix di redistribuzione degli oneri di risanamento tra aumenti di entrate e tagli di spesa. Non esistono più obiettivi di giustizia fiscale e sociale condivisi. Non si va oltre gli appelli e le denunce: quale che sia l’anno di acquisizione di un beneficio o di attribuzione di un presunto privilegio, sono costi attuali: il contributo al risanamento va richiesto a tutti.
 
Occorre una manovra finanziaria a tenaglia che schiodi dalla situazione attuale. Da una parte occorre ridurre il costo del debito pubblico e dall’altra abbatterlo. Il primo strumento è definibile “Cash & Kind”: si tratta di pagare tutte le spese pubbliche di rilevante ammontare corrispondendo accanto ad una alta percentuale in contanti una limitata quota in titoli di Stato. C’è un precedente, anche se la situazione era molto diversa: ci fu un momento in cui si pagarono in Bot gli aumenti della scala mobile ai dipendenti pubblici. I titoli Kind, da corrispondere ai beneficiari delle spese pubbliche, avrebbero caratteristiche peculiari: durata ventennale, ammortamento lineare del 5% l’anno, rendimento annuo pari al tasso di sconto in vigore computato sulla somma residua. Per evitare il ripetersi della vicenda Efim, questo sistema si applicherebbe solo nei confronti dei cittadini italiani e delle persone giuridiche di nazionalità italiana.
 
I titoli Kind avrebbero un regime peculiare: non sarebbero soggetti a tassazione, negoziabili, ammessi a quotazione e valutazione di rating. Tenuti in deposito presso un Conto titoli da parte della Direzione generale del Tesoro (Dgt) potrebbero essere solo costituiti in pegno alle banche italiane, soggette alla vigilanza della Banca d’Italia, per anticipo di liquidità: in questo caso, il rendimento pagato dallo Stato verrebbe girato alle banche. I titoli potrebbero essere utilizzati per il pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali, ma non per premi assicurativi o mutui bancari. Occorre evitare qualsiasi trasferimento del titolo a soggetti su cui vengono effettuati giudizi di rating. Le banche italiane possono approvvigionarsi della liquidità necessaria attingendo alla Bce, rilasciandole i titoli come collaterali, e comunque utilizzando prioritariamente ai fini della provvista gli eventuali depositi di liquidità in eccesso detenuti presso la medesima Bce ed utilizzando come collaterali i titoli in questione con precedenza su altri titoli detenuti a fini di contrattazione. Qualora gli oneri della provvista di liquidità presso la Bce fossero superiori al tasso di sconto, questi sarebbero posti a carico dell’Erario. Le operazioni compiute dalle banche sui titoli Kind verrebbero descritte in una sezione contabile separata del proprio bilancio.
 
Questa prima operazione dà luogo a tre benefici: riduce le emissioni di titoli sul mercato e quindi le tensioni sul mercato finanziario; sostituisce titoli ad alto costo con titoli a rendimento pari al tasso di sconto; non drena liquidità al sistema economico, per via della possibilità di costituirli in pegno a tal fine. Visto che la liquidità che si ottiene dalla Banca è pari al valore facciale del titolo, non vi è nessuna perdita monetaria da parte dei destinatari della spesa pubblica rispetto alla quota pagata in titoli. Per chi non avesse bisogno di liquidità, renderebbero più di un deposito di conto corrente: un risparmio senza costi e senza tassazione alcuna sul rendimento. I creditori nei confronti dello Stato sarebbero e rimarrebbero i cittadini, fino all’estinzione del titolo. Considerando invariata la spesa attuale per interessi, il minor onere da corrispondere su questi titoli consente di coprirne quasi integralmente anche il costo dell’ammortamento. L’avanzo primario delle manovre di bilancio verrebbe utilizzato per il riacquisto dei titoli in circolazione, prioritariamente quelli in mano all’estero, sia per accrescere la ricchezza nazionale sia per ridurre le tensioni speculative. Facendo qualche calcolo, partendo dalla situazione attuale, la spesa corrente e in conto capitale delle pubbliche amministrazioni al netto degli interessi è pari a 727 miliardi (in essa è compreso tutto, dagli stipendi alle pensioni ai pagamenti di forniture, opere pubbliche etc.). Applicando un 5% di aliquota alla spesa corrente e del 10% alla spesa in conto capitale pagabili con i titoli kind, con il differenziale di tassi in venti anni si arriverebbe a un risparmio quantificabile in circa 200 miliardi.
 
Attenzione, sono impegni importanti, per cui occorrono tutele penali. Poiché, fatta eccezione per la costituzione in pegno, verrebbero vietate la commercializzazione, la quotazione, la contrattazione e la emissione di rating su questi titoli, il compimento di queste operazioni andrebbe a configurare il reato di attentato alla politica di stabilizzazione finanziaria dell’Italia, da punire con la pena già oggi prevista per l’aggiotaggio. Parimenti, verrebbe vietata la offerta, l’acquisto e la contrattazione di titoli derivati sui titoli in questione e di ogni operazione naked ad essi relativa. I titoli sarebbero garantiti dalle riserve auree della Banca d’Italia, per la quota eccedente la sua partecipazione al capitale della Bce.
La durata dell’operazione, l’ammontare della quota da corrispondere in titoli di Stato e la soglia minima delle obbligazioni delle PA soggette al pagamento misto per categoria di spesa sarebbero determinati con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, previo conforme parere della Commissione parlamentare. La cessazione della applicazione delle misure sarebbe dichiarata con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, previo conforme parere della Consob e del Direttorio della Banca d’Italia. Con la stessa procedura, una o più misure possono essere sospese ovvero graduate diversamente.
 
Dal punto di vista tecnico contabile ed amministrativo, i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni vengono effettuati dai rispettivi Tesorieri mediante emissione di un mandato di pagamento a favore della Dgt, con l’indicazione del beneficiario finale e del suo conto presso la banca di appoggio per le operazioni di anticipazione di liquidità, di corresponsione degli interessi e di rimborso annuale della quota in ammortamento, accompagnati dal trasferimento della provvista per l’importo integrale della somma liquidata. La Dgt provvederebbe al pagamento per la quota in contanti attraverso il Servizio di Tesoreria provinciale e costituirebbe contemporaneamente il Conto titoli intestato al beneficiario accreditandogli l’importo relativo.
 
Ma questa manovra da sola non basta.
 
Il secondo strumento è volto alla valorizzazione del patrimonio immobiliare delle famiglie italiane. Oggi è uno sleeping asset: ha un valore d’uso, ma non finanziario. E allora ciascun immobile su cui non gravi un mutuo in corso può essere offerto volontariamente in garanzia (per un ammontare non superiore alla metà del valore di mercato) per l’emissione di  titoli di Stato della serie “Kind Real Estate”, con un rendimento pari al tasso di sconto maggiorato dell’1%.  Questa maggiorazione costituirebbe il bonus per il proprietario. Ipotizzando un valore immobiliare di 100 mila euro, e una garanzia sul 50%, il rendimento netto annuo sarebbe di 500 euro l’anno: più o meno, quanto serve per le bollette di acqua, luce e gas. La restante remunerazione, pari al tasso di sconto, serve alla provvista.
 
Così facendo, si valorizzerebbero finanziariamente gli immobili creando la possibilità di costituire risorse finanziarie nuove, ulteriori, senza alterare gli equilibri sul mercato mobiliare (azioni, obbligazioni, Fondi, Assicurazioni, ecc.). Ad effettuare l’operazione di emissione di questi titoli potrebbe essere un consorzio bancario misto, pubblico - privato che girerebbe ad un Fondo unico le prese di garanzia sui singoli immobili, riscontandone l’ammontare alla Bce, da cui riceverebbe liquidità al tasso di sconto che servirebbe ad acquistare i titoli.
 
Anche con i proventi di questa seconda operazione, si pagherebbero meno interessi e si accelererebbe quindi l’abbattimento del debito. Senza dissanguare i contribuenti nè colpire il patrimonio immobiliare con una patrimoniale. Si applicherebbero le medesime tutele previste sul piano penale e le stesse garanzie sul versante politico ed istituzionale descritte per la operazione “Cash & Kind”.  E’ una misura volontaria, incentivabile con una promessa fiscale del tipo: se dai in garanzia al prestito il valore di metà della tua casa, per i prossimi venti anni l’ammontare delle tasse sulla casa sarà esattamente quello del momento dell’emisisone. Un po’ come l’esenzione 25ennale dall’Ilor che favorì il boom dello sviluppo immobiliare del passato. Se, per ipotesi estrema, si riuscissero a convogliare garanzie immobiliari private per un ammontare pari al debito pubblico che eccede il 60% previsto da Maastricht (922 miliardi), in venti anni con questa misura i risparmi di imposta potrebbero superare i 400 miliardi.
 
L’obiettivo di ridurre il debito pubblico non può rimanere un problema del ministro dell’economia, del solo governo o del parlamento. E’ un problema di tutti italiani: tocca agli italiani risolverlo. Ricomprandosi il debito.
 
Adesso.


Occorre  Kind  debito  Conto  titoli  Bce
 3 Commenti Inviato il: 28/10/2011 11.46   
Da: DOGEN
Segnala un abusoDi Guido Salerno Aletta
Perche’ invece non ci racconti la tua storia, come mai lavori a Milano Finanza e quali sono gli interessi che ci sono dietro certi discorsi.........
Oppure pensi veramente quello che dici????
Chi sono gli azionisti del giornale?????
21/04/2012 09:01
 
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SPer ridurre il debito Monti si è affidato al surplus di bilancio. Ma se lo spread non scende sarà obbligato a varare un’altra stretta fiscale. Che allontanerà di nuovo il pareggio. Una catena da rompere. Anche perché sul mercato dei titoli di Stato sta per arrivare un killer

Londra, ultima frontiera. Il gruppo britannico Man, 58 miliardi di dollari di asset gestiti, ha annunciato che presto lancerà un prodotto high frequency trading, una piattaforma in grado di generare migliaia di ordini al secondo, sul mercato dei titoli di Stato. Una fonte interna alla società, citata da Reuters, spiega che «le inefficienze di mercato probabilmente prevalgono nel debito fisso, creando opportunità d’investimento».

Conviene sedersi e allacciare le cinture di sicurezza. Il destino degli Stati, presto potrebbe infatti finire nella mani di un algoritmo. Leggere per credere. «In una logica ribassista delle borse, una caduta causata da oscillazioni prodotte dal trading automatico potrebbe suscitare conseguenze avverse sul ciclo economico-finanziario sia del Paese in cui la borsa è stata colpita dai ribassi, sia di tutti i Paesi stranieri dove risiedono le società quotate nella borsa colpita».

Non è il solito commento allarmistico. È qualcosa di più, è il warning lanciato dai servizi segreti italiani del Sid, il Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, e pubblicato sulla loro rivista, Gnosis, in un lungo report intitolato «La nuova era della manipolazione delle borse». 

[SM=g1430705]
22/04/2012 08:59
 
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.......ricordate...il mio ultimo post con foto di settembre 2011.....chi di finanza ha le fritte e ...SAPEVANO...
Ridurre l'esposizione verso i Paesi periferici europei. Vendere i titoli del debito pubblico di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda è stata la missione delle principali banche americane sui mercati europei negli ultimi mesi. È quanto sta emergendo dai bilanci del primo trimestre dei colossi bancari statunitensi che stanno alzando il velo sulla loro operatività nei mesi più difficili per l'Europa quando persino l'esistenza dell'euro veniva messa in discussione.

Dal bilancio trimestrale di Morgan Stanley, ad esempio, emerge che nei primi tre mesi del 2012 l'istituto americano ha ridotto del 21% la sua esposizione verso i Paesi europei più indebitati portandola a 2,4 miliardi di dollari da 3,06 miliardi di gennaio, con una riduzione di 618 milioni di dollari. Una posizione che si è andata accentuando con il passare delle settimane dal momento che a fine dicembre l'esposizione netta verso i Paesi a rischio debito sovrano era di 6,44 miliardi di dollari di cui 4,9 miliardi di dollari soltanto verso l'Italia.

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A contribuire a ridurre l'esposizione verso Italia è stata la chiusura lo scorso 3 gennaio di un contratto derivato da 3,4 miliardi di dollari. La riduzione ha riguardato tutti i principali Paesi che hanno sofferto in questi mesi, ad eccezione della Francia dove invece l'esposizione è stata aumentata a 4,14 miliardi da 1,71 miliardi di fine dicembre. In più, Morgan risulta avere venduto un miliardo di Cds, contatti assicurativi contro il rischio default dei titoli governativi, per lo più dell'Italia e della Spagna.

Il campanello d'allarme sul rischio Europa sarebbe scattato alla luce del crollo del 41% dei prezzi delle azioni della banca nel terzo trimestre del 2011 quando i timori del peggioramento della situazione finanziaria dei Paesi europei aveva messo sotto pressione l'istituto. Lo stesso ha fatto Bank of America che, come risulta dal bilancio, ha ridotto l'esposizione totale verso Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo e Spagna portandola a 9,8 miliardi di fine marzo da 11,5 miliardi di dollari registrato a fine marzo 2012 e 10,3 miliardi di fine dicembre.

Dunque da quanto sta emergendo, alla fine del primo trimestre le principali banche americane si erano posizionate per guadagnare se i titoli di debito pubblico del gruppo dei Pigs si svalutavano, scommettendo quindi sul peggioramento delle condizioni economiche dei Paesi europei in posizione più debole. Giocare contro il Portogallo, ad esempio, vuol dire fare crollare i prezzi dei titoli pubblici del Paese, ma allo stesso tempo aumentarne i rendimenti. A quel punto entrano in campo i trader delle grandi banche che comprano a prezzi ribassati per poi rivendere gli stessi titoli quando i loro valori risalgono lucrando sul valore. Un gioco semplice se gli operatori in campo sono di dimensioni tali da riuscire a muovere il mercato. Chi compra in queste condizioni? Se i rendimenti salgono, i primi ad essere interessati sono gli investitori istituzionali come i fondi pensione e le società di gestione che possono detenere in portafoglio i titoli fino alla scadenza.

Nel frattempo le banche si alleggerivano dei titoli governativi in portafoglio guadagnando sulle attività di trading. Nel caso dell'Italia, non è chiaro come le banche potessero conciliare questa operatività con la loro posizione di specialist del Tesoro italiano nel collocamento dei titoli pubblici in asta: sono 20 le banche, per lo più estere, che devono garantire un'operatività del 3% l'anno sul mercato primario e su quello secondario, assicurando prezzi e quantitativi. Ma in quei giorni caldi tutte queste garanzie erano venute meno e la mano invisibile del mercato ha fatto il resto.

[SM=g1430699]
22/04/2012 12:10
 
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ti leggo anche se non commento..
siamo proprio messi male.... [SM=g1430706]






22/04/2012 17:51
 
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Claudio ciao
No comment NON TENGO PIù una lira
ciaoooo Fabri
23/04/2012 09:38
 
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....buona settimana forum......uscire dall'€....non e' più una ......bestialità ..
Il giorno elettorale di Hollande (e quello della Le Pen) potrebbe rappresentare il punto di svolta per il destino dell'euro. Non a caso il candidato socialista all'Eliseo (che pure dice cose inquietanti su tasse e ruolo dello Stato) ha riservato le sue ultime parole prima del silenzio delle urne proprio alla Bce e alla necessità che cambi la sua missione per garantire direttamente il debito degli Stati dell’Unione.


Ben svegliati. Nei «bugiardini» delle medicine c'è sempre scritto che se il paziente peggiora o ha reazioni indesiderate dopo l'assunzione del farmaco, occorre interrompere immediatamente la cura. Nel caso dell'Europa, messa in cura dagli eurocrati di cui Monti è organico rappresentante, abbiamo già assistito al primo morto (la Grecia) e tutti gli altri «malati» continuano a peggiorare.

L'unica differenza con il recente passato è stato l'anestetico dei mille miliardi prestati dalla Bce.
Il voto in Francia ci ricorda che gli Stati Europei sono ancora democrazie e non possiamo sempre dare la colpa agli «altri». Dice benissimo l'economista premio Nobel Paul Krugman quando parla di «suicidio» dell'Europa. Non è importante quanto e cosa «imponga» la Germania nel suo unico legittimo interesse: se acconsentiamo a proseguire in cure sbagliate avremo da biasimare solo noi stessi. Supponiamo però di volerci ribellare e di volerci strappare la flebo del veleno dell'austerità fiscale che ci sta uccidendo: il gesto non sarebbe senza conseguenze, quindi è meglio sapere bene cosa sono i pro e i contro.

La questione è stata recentemente inquadrata sia dallo stesso Krugman che dal capo economista di Nomura, Koo. Tutti e due concordano con una premessa: impossibile proseguire così. Impossibile, assurdo e suicida. Chiedere a uno Stato con la disoccupazione al 23% come la Spagna ulteriore austerità è una bestialità talmente grande che dovrebbe aprire gli occhi anche ai ciechi, così come non ci voleva un profeta per prevedere che in Italia la stretta fiscale cominciata con le manovre di luglio e proseguita da Monti avrebbe avuto come immediata conseguenza la recessione.

I due economisti poi cercano di analizzare le vie d'uscita e, seppure con differenti sfumature, le conclusioni sono simili: o un cambiamento a 180 gradi delle politiche economiche europee con meno tasse, più spesa e Bce garante del debito e disposta a tollerare l'eventuale inflazione, oppure l'unico modo per salvarsi è l'uscita dalla moneta unica, trauma che però risolverebbe alla radice i problemi di competitività con una normale svalutazione, riavviando la crescita. I medici del veleno tuttavia predicano sventure: guai, disperazione e carestia attendono chi mai dovesse osare mettere in discussione il dogma dell'euro. Basterebbe vedere quale prosperità ha invece raggiunto Atene seguendo le loro ricette per seppellirli di risate, ma il timore dell'ignoto è comprensibile.

Eppure è dimostrabile che i disagi (principalmente pratici) paventati in caso di uscita dalla moneta unica possono essere minori di quanto si pensi. Certo, ridenominare il debito in un'altra valuta è un default ma se l'alternativa a questo cambio di valuta fosse peggiore, anche i creditori capirebbero. Il timore più grande nel caso di uscita dall'euro, vale a dire la fuga dei capitali, è una lama spuntata, dal momento che il famigerato spread dimostra semplicemente come quella fuga sia già in atto.

Della ricchezza degli italiani la parte immobiliare, con quasi 6.000 miliardi, rappresenta la proporzione maggiore del valore e (per definizione) non scappa. Il contante vale solo 100 miliardi, di più sono i depositi anche se in buona parte risparmio postale o vincolato, però non sono più trasferibili oltrefrontiera senza problemi, specialmente considerando i controlli pervasivi di cui ormai il governo può disporre. Non sono un problema né le azioni quotate (poche, 80 miliardi, e in pratica beni reali) né le partecipazioni né i titoli esteri (non sarebbero impattati dal cambio). Rimangono solo quindi i titoli domestici di debito. Qui però la fuga è già avvenuta e probabilmente il calo dei prezzi è già superiore al timore di cambio valuta




Difficile che uno venda un Btp a prezzi molto bassi temendo una svalutazione che probabilmente sarebbe inferiore di quella implicita nei valori attuali.

Anche il cambio della valuta fisica sarebbe relativamente indolore, basterebbe una conversione alla pari con la nuova valuta di contratti, stipendi e depositi (conversione, non cambio: a quel punto il cambio esterno con l'euro sarebbe definito dal mercato e ci interesserebbe quanto ci interessa ora il cambio con il dollaro) per non dover nemmeno cambiare i cartellini dei prezzi. Mantenendo provvisoriamente gli stessi formati delle banconote non occorrerebbe neppure cambiare bancomat e macchinette. Disagi e rischi ci sono, tuttavia se sull'altro piatto della bilancia c'è la miseria dell'oppressione fiscale e dell'austerità recessiva infinita è da irresponsabili non considerare l'alternativa. [SM=g1430727]
23/04/2012 12:24
 
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George Soros da una anno circa continua a scrivere e a dire in interviste varie che la Uem così com’è non va da nessuna parte. E che i mercati hanno un sistema infallibile per predire il futuro, fanno in modo che le loro previsioni si verifichino.

Questa volta ha voluto anche fare delle proposte concrete, aggiungendosi al novero di coloro, come MF Milano Finanza va scrivendo da mesi, che il fiscal compact più le misure di austerità da sole ammazzeranno il cavallo anziché guarirlo.
Quali sono le proposte di Soros scritte per il Financial Times?

1) considerare ai fini dei calcoli del fiscal compact non solo il debito finanziario ma anche quello commerciale, e nel calcolo della spesa separare gli investimenti produttivi dalla spesa corrente. I primi sarebbero asseverati come tali da un’autorità europea indipendente e allora una Bei rafforzata potrebbe finanziarli.

2) Neutralizzare l’effetto recessivo della regola del fiscal compact che impone di ridurre in 20 anni ciò che eccede il rapporto debito/pil del 60% (per l’Italia sarebbe pari a una riduzione di 50 miliardi all’anno per 20 anni, stroncherebbe anche Ercole) attraverso il riacquisto di tutta quella porzione di debito da parte di un veicolo speciale comunitario finanziato dalla BCE (che in questo modo non violerebbe il suo statuto). Se uno stato non rispettasse il resto del fiscal compact, allora dovrebbe pagare anche il servizio di quella parte debito.

3) A quel punto tutti i paesei avrebbero un rapporto debito/pil del 60% e sarebbero legati dal rispetto del fiscal compact, per cui è ragionevole che il iasso di rifinanziamento di quel debito avvenga a un tasso più o meno uguale per tutti.

Quante sono le chance che la Bundesbank approvi idee del genere? Nulle, secondo Soros. Che però aggiunge: non è la Budesbank che deve decidere del futuro dell’Europa.


[SM=g1430721]




.......opts....


Il fiscal compact[1], noto anche come patto di bilancio, è il trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria che è stato firmato il 2 marzo 2012 da 25 Stati dell'Unione europea[2].


[SM=g1430690]
[Modificato da udineipp53 23/04/2012 12:29]
24/04/2012 13:28
 
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L’avidità è ritenuta una virtù e il potenziale di crescita dei mercati finanziari sembra essere infinito. Forti di queste convinzioni, banchieri, analisti, manager, agenzie di rating e investitori hanno provocato la crisi economica mondiale. Molti esperti invocano nuove soluzioni

Perché solo un’economia che ha delle basi etiche funziona bene! Se l’economia non poggia su di un fondamento etico, i suoi successi non saranno duraturi, ma solamente temporanei. Dunque, l’etica costituisce un importante fattore che sostiene l’economia. Ora, nella nostra società bisogna porre la domanda su quali siano le priorità. Diamo la priorità al successo immediato o a un’economia basata su principi etici?

[SM=g1430727]
26/04/2012 09:56
 
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Salvate il generale Mario Monti!

Come tutti i grandi amori, prima o poi arriva la crisi di verifica se l'amore sarà duraturo. Il governo dei tecnici, ma soprattutto il presidente del Consiglio, hanno conquistato l'Italia e il mondo per la loro affidabilità, non per le lacrime, ma per la razionalità nel porgere le idee. Da quasi due mesi l'innamoramento si sta raffreddando. Le istituzioni internazionali come il Fondo monetario internazionale (Fmi) fanno previsioni assai più pessimistiche di quelle contenute nel Def, il documento di economia e finanza approvato mercoledì 18 dal consiglio dei ministri; l'appoggio incondizionato del mondo imprenditoriale è venuto meno, anche con brutte polemiche, alla prova del testo di riforma del mercato del lavoro; il consenso dei cittadini, spaventati e preoccupati dal pesante carico fiscale, è in deciso calo; ma soprattutto i mercati hanno fatto fare un brusco balzo all'insù allo spread e una brusca discesa a Piazza Affari: esattamente quanto questo giornale aveva avvisato che potesse succedere; e ora, non essendo state ancora neutralizzate, le agenzie di rating sono di nuovo sul piede del downgrade, come annuncia Citi, la più grande banca americana, a proposito dell'intenzione di Moody's di degradare di due gradini il già mediocre voto al credito della Repubblica italiana.

In questa stretta il presidente Monti, pur in assoluto uno degli uomini dai nervi più saldi, nella conferenza stampa di presentazione del Def ha sentito il bisogno di difendersi, commettendo però un errore psicologico: per giustificare la durezza della manovra che sta andando in esecuzione, ha evocato lo spettro della Grecia, un paragone che non aveva mai fatto prima anche quando l'Italia era molto di più di adesso sull'orlo del baratro. Il professor Monti sa benissimo che in economia l'aspetto psicologico è molto importante, per questo non dovrebbe parlare solo per far digerire la manovra evocando lo spettro del default, ma dovrebbe usare anche parole di ottimismo, che non ha certo avuto manifestazione sufficiente nelle sue ultime parole in conferenza, ovvero che in fondo al tunnel vede la luce. Ci mancherebbe: sempre, in fondo al tunnel ricompare la luce; anche Dante tornò a riveder le stelle dopo l'inferno; ciò di cui il Paese ha bisogno è ben altro, anche se l'onestà intellettuale di Monti gli impone di dire tutto, anche gli aspetti più crudi della crisi. Ma sicuramente lo fa anche perché è finito per trovarsi sulla difensiva. In tal senso, gli potrebbe essere utile, per avere parole diverse, conoscere meglio lo stato d'animo anche delle persone più abbienti, dando per scontata l'angoscia di chi sta peggio. «Ho un cliente che ha nel conto 3 milioni di euro; vorrebbe cambiare l'auto, ma è bloccato perché non sa quanto dovrà pagare di Imu per le tre case che ha», racconta uno dei più brillanti gestori di patrimoni. «E non si è smosso neppure quando gli ho fatto presente che al massimo il suo conto corrente scenderà di 20-30 mila euro per la nuova tassa sugli immobili. Niente che possa impedirgli di comprare un'auto da 60 mila euro: è l'incertezza che i cittadini stanno vivendo che frena ulteriormente i consumi e che alimenta quindi la recessione».

Certo, per gli ultimi sciagurati anni gli italiani sono stati nutriti dall'ottimismo sempre e comunque dell'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Ma anche un oggettivo, forte pessimismo unito all'incertezza e soprattutto alla mancanza di operatività per il rilancio dell'economia sono altrettanto, se non addirittura, più dannosi. È il radicarsi del convincimento che per il governo sia inevitabile il periodo terribile che il Paese subisce nel nome del salvataggio dei conti secondo il volere della Germania, che mette tutti gli italiani in uno stato d'animo di sofferenza e di perdita di iniziativa. Anche perché, appunto, mentre il Def conferma il pareggio di bilancio per il 2013, autorevoli istituzioni lo collocano assai più avanti, non mancando di sottolineare, come faceva il grande economista John Kenneth Galbraith, che perseguire il pareggio di bilancio in tempi di recessione è la scelta peggiore che si possa fare. Il rigore per il rigore non ha senso. E del resto se la scelta ha pagato, agli occhi della speculazione per alcuni mesi, ora l'attacco all'Italia è ripartito. E le società di rating, per quanto contino (e purtroppo in mancanza di riforma contano) su tutto il sistema degli investimenti, fanno filtrare, con la solita maniera scorretta come un avviso riservato per i naviganti, che ci potrà essere un downgrade perché non credono che gli obiettivi che il governo ha accettato di farsi imporre dalla Germania possano essere raggiunti con oltre il 2% di caduta dell'economia, come prevedono la maggioranza degli istituti di ricerca. Quindi, mentre nella fase acuta vissuta dal governo Berlusconi le giustificazioni della speculazione per l'attacco erano che il deficit dello Stato italiano fosse fuori controllo, ora sono gli obiettivi ambiziosissimi che i due governi che si sono succeduti hanno assunto in base alla famosa lettera della Ue-Bce (alias Germania), diventando una sorta di boomerang, perché per raggiungerli la pressione fiscale è diventata tanto alta da provocare una recessione profonda e quindi da far cadere il pil che è il denominatore del rapporto con il debito, aumentando quindi la percentuale del rapporto ben oltre il 120% dei terribili mesi dell'autunno.

Come si vede, a seguire le richieste di super rigore imposte da Angela Merkel e apparentemente richieste dal mercato (alias gli speculatori) si va comunque contro il muro del default se non c'è la capacità di coniugare immediatamente il rigore con lo sviluppo. La quadratura del cerchio è proprio questa e passa unicamente attraverso la normalizzazione del Paese Italia rispetto agli altri membri della Ue e in particolare la Germania nell'unico, fondamentale indicatore dove il Belpaese è pesantemente in difficoltà. I lettori di questo giornale sanno bene che il vero cancro dell'Italia è il suo stock di debito, che fa da spartiacque di ogni argomentazione. E infatti, come giustificazione del peggioramento del merito del credito i mercati indicano che con l'aumento della pressione fiscale, che non ha eguali nel mondo, con il pessimismo che si è diffuso nel Paese, con il taglio del credito da parte delle banche, con il trasferimento di almeno 100 miliardi (legalmente) presso banche estere, la recessione sarà così cruda da far crescere ulteriormente il rapporto debito/pil, riavvicinando l'Italia al baratro.

La ricetta lanciata da mesi dai media di Class Editori per tagliare il debito di almeno 300 miliardi in tre anni con la vendita di parte del patrimonio dello Stato sta facendo sempre più proseliti. Negli ultimi giorni l'ha adottata anche uno studio di Mediobanca; l'ha fatta proprio anche Porta a Porta con i suoi abituali invitati, politici e non, per bocca di Enrico Cisnetto; dietro le anticipazioni di Citi sulle intenzioni di Moody's di abbassare di due gradini il rating già pessimo dell'Italia c'è la spiegazione che appunto il problema vero è lo stock di debito; Angelino Alfano, il segretario del Pdl, il più grosso piedistallo (anche se non il più stabile) su cui si regge il governo, ha parlato chiaro: tagliare la spesa (e il ministro Piero Giarda nonché il viceministro Vittorio Grilli sono ancora lì che litigano sul da farsi) e tagliare lo stock di debito con la vendita di parte dei 1.800 miliardi di euro di patrimonio pubblico per generare le risorse per lo sviluppo attraverso un risparmio doppio: quello del costo del debito stesso, in quanto inferiore, e quello derivante dai tassi più bassi per l'inevitabile allineamento dello spread rispetto alla Germania. Risulta, come ha anticipato MF-Milano Finanza di venerdì 20, che l'ex ministro Paolo Romani, una delle persone più lucide del Parlamento, stia dialogando con la vicecapo-gruppo del Pd al Senato, Marina Sereni, per presentare in assenza di azione del governo un progetto di legge per la vendita appunto di parte del patrimonio dello stato, come i media di Class Editori e oltre 10 mila aderenti all'associazione L'Italia c'è stanno proponendo da mesi.

In questo contesto, sembrerebbe che Monti non sia consapevole della situazione e che la caduta di consenso sia giustificata. Conosco il pensiero del professor Monti fin dal 1973 quando gli chiesi di scrivere i suoi primi articoli su Panorama e poi su il Mondo per cinque anni. Ricordo una sua garbatissima, come al solito, lettera in cui rettificava la definizione di monetarista che un giornalista de il Mondo gli aveva dato. Quindi non è assolutamente della scuola del maestro di Chicago, Milton Friedman, e ha anzi tutte le convinzioni scientifiche per condurre una politica economica liberista e in parte neokeynesiana, con lo Stato forza attiva per il rilancio dell'economia.

Il generale Monti va quindi salvato. Ma anch'egli deve comprendere, e sicuramente lo sa, che se l'assumere l'impegno a nome dello Stato di un bilancio in pareggio nel 2013 (per la verità preso dal governo precedente) era condicio sine qua non per ottenere l'aiuto (anche se minimo, se non fosse stato per il coraggio dell'altro Mario alla Bce) degli organismi europei nel momento più drammatico dell'attacco all'Italia, la ricetta tedesca della cancelliera Merkel e dei falchi della Bundesbank è da correggere significativamente.

Non si sarà quindi sorpreso il presidente del Consiglio se nel Parlamento italiano da più parti si levano voci contro l'accettazione e la trasformazione in legge italiana, così com'è, del fiscal compact che impone una riduzione del debito di 1/20 all'anno per la parte eccedente il 60% del pil, che nel caso italiano equivale (con il rapporto debito/pil di oggi) a 50 miliardi di euro; né, il professor Monti, si sarà sorpreso che identica posizione contro l'approvazione del testo imposto dalla Merkel l'abbia assunta, come ha documentato MF-Milano Finanza, il vicepresidente del Parlamento europeo, Gianni Pittella, iscritto al Pd, cioè al partito che più sta condizionando il governo, per esempio sulla riforma del lavoro, partita per rendere tutto più flessibile con l'opposizione della Cgil guidata da Susanna Camusso e conclusasi invece con una piena approvazione della stessa Camusso e quindi, per converso, non accettabile dalle imprese a cui è demandata la funzione della creazione di posti di lavoro.

Sentendo nelle ultime settimane parlare Monti e molti suoi ministri, con la sola eccezione di Corrado Passera, si ha la netta impressione che la linea del governo sia diventata apodittica: siamo tecnici e faremo le riforme che da anni non si facevano, poi sarà la Provvidenza a fare il resto. Ma nonostante la fede profonda di Monti, la Provvidenza non può creare lo sviluppo.

Uno spariglio potrebbe avvenire con la vittoria in Francia del socialista François Hollande, il quale ha fatto tutta la campagna elettorale contro l'asse Merkel-Sarkozy e la quiescenza del presidente d'Oltralpe verso il rigorismo della Merkel. Con uno scenario così, Monti potrebbe cogliere l'opportunità di farsi promotore di una revisione dei vincoli del fiscal compact. Ma c'è anche il pericolo, secondo alcuni, che la presidenza Hollande spinga la Merkel ad attrarre a sé ancora di più il professore per il quale la cancelliera si era già impegnata perché salisse a Palazzo Chigi.

Il generale Monti è quindi da salvare perché ha le capacità, il carisma e l'esperienza per fare quanto i governi politici non possono fare. Qualunque altra soluzione, incluse le elezioni anticipate a cui sta pensando il Pd, sarebbero un disastro. Ma il generale Monti deve mettere in pratica, visto che concettualmente è d'accordo, tutto quanto serve a tagliare la spesa improduttiva, immediatamente, costringendo Giarda e Grilli a uscire dall'incredibile impasse, e a varare una delle tante idee ormai a punto per tagliare drasticamente e subito il debito, con la vendita di parte del patrimonio dello Stato. Solo così i downgrade di Moody's o Standard & Poor cadranno nel vuoto o addirittura non ci saranno e l'Italia si libererà del cancro rappresentato dall'enorme stock di debito che lo fa essere il Paese più vulnerabile dell'Unione. E infine Monti, che pure è un grande comunicatore, deve cambiare registro nel modo di esprimersi e di parlare al Paese, con toni troppo negativi, come del resto gli ha consigliato lo stesso presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

P.S. Fare sviluppo in Italia è possibile, non solo con le iniziative messe a punto dal ministro Passera, di cui si dà conto in dettaglio all'interno di questo numero di MF-Milano Finanza, ma anche ridando fiducia ai privati, come dimostra la partenza di Italo, il treno privato ad alta velocità. Un miliardo di euro già investito; 2.500 posti di lavoro diretti e altrettanti indiretti; una tecnologia che per pressione di Luca Cordero di Montezemolo, Banca Intesa, Generali e gli altri azionisti è stata portata in Italia dalla francese Alstom, che così non ha licenziato i 2.500 posti di lavoro nello stabilimento di Savigliano. E soprattutto una concorrenza diretta che farà benissimo alle Ferrovie dello Stato, già tornate in utile sotto la guida di Mauro Moretti. Un lampo rosso nel buio di queste settimane.

[SM=g1430700]
29/04/2012 10:06
 
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..buona domenica virtuali.....che tristezza ...guerra sociale tra .."persone"....quando anche lo Stato ....
  [SM=g1430739] ....... [SM=g1430727]

L’aria che tira si è capita da un pezzo. I blitz degli ispettori del fisco nelle località turistiche e modaiole, il bollino blu per i commercianti “onesti” proposto da Attilio Befera, la blacklist di quelli “disonesti” uscita solo all’ultimo dal decreto fiscale, il tormentone del supercomputer Serpico che ficcherà il naso nei nostri conti correnti per calcolare a tavolino quanto dovremo pagare di tasse. Ma se l’obiettivo è alimentare il conflitto sociale, le norme contenute in una bozza del decreto liberalizzazioni bis che sta circolando in questi giorni rappresentano l’arma finale. L’idea è semplice quanto devastante: trasformare i cittadini in un esercito di cacciatori di taglie attraverso un meccanismo premiale che incoraggi la delazione del presunto evasore fiscale. Può sembrare uno scherzo, ma il documento, stando a quanto riporta il quotidiano Milano Finanza, esiste davvero.

 «Qualora le sanzioni per violazioni delle leggi fiscali e tributarie siano casualmente riconducibili a una denuncia di un soggetto privato», si legge in un articolato di legge allo studio dei tecnici del ministero dell’Economia, al denunciante spetta una percentuale tra il 10 e il 30% della sanzione». La norma puntualizza anche che «la percentuale è determinata in relazione alla quantità e alla qualità delle informazioni contenute nella denuncia». I “trenta denari” non sono invece previsti per «i soggetti che hanno acquisito l’informazione in ragione del proprio ufficio pubblico o che hanno l’obbligo di denunciare l’illecito».

Tradotto in cifre, l’effetto della disposizione al vaglio del dicastero guidato operativamente da Vittorio Grilli e formalmente dallo stesso premier Mario Monti, significa che su una sanzione di 100mila euro il contribuente-poliziotto potrebbe mettere in tasca fino a 30mila euro. Somme rivelanti, che innescherebbero una spirale perversa di spiate e controspiate dagli esiti assai dubbi sotto il profilo della lotta all’evasione, ma assolutamente prevedibili sul terreno della tensione sociale.

C’è, d’altra parte, chi sostiene sia proprio questo, più che il contrasto all’illegalità tributaria, il reale obiettivo del governo. Secondo alcune indiscrezioni parlamentari raccolte dal neonato sito politico Il Retroscena.it, anche dietro i blitz clamorosi degli ispettori del fisco, rivendicati dallo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate come iniziative esemplari a scopo deterrente, c’era l’idea di dare uno «sfogo immediato, di pancia, diretto a quei ceti medio-bassi» colpiti «da quello che viene definito senza mezzi termini uno dei più grandi prelievi obbligatori degli ultimi anni». Come ha detto ieri il leader della Uil, Luigi Angeletti, «il peso delle tasse si mangierà tutta la tredicesima del 2012». Secondo l’analisi, rigorosamente anonima, di alcuni deputati di maggioranza vicini al governo, dopo aver varato le stangate fiscali a Palazzo Chigi «ci fu chi iniziò a preoccuparsi seriamente della reazione della gente».

Da qui l’idea di dare in pasto al popolo qualche ricco evasore (o presunto tale) da sbranare ben bene. La logica sembra coincidere perfettamente con il provvedimento che circola negli uffici di Via XX Settembre. In realtà, per identificare lo stile di governo non c’è affatto bisogno di scomodare la dietrologia. Il ricorso alla spiata è stato infatti già codificato nel decreto fiscale. Sebbene siano uscite dal testo «le liste selettive di contribuenti» segnalati, la norma prevede che il fisco, «nell’ambito dell’attività di pianificazione degli accertamenti, tenga conto anche delle segnalazioni non anonime di violazioni tributarie». Un vero e proprio premio alla delazione è invece l’ipotesi allo studio dei ministri Patroni Griffi e Severino nell’ambito degli emendamenti al ddl anti-corruzione. Le proposta prevede la creazione di uffici per le denunce, garantite dall’anonimato, che i dipendenti pubblici potranno presentare in cambio di una ricompensa. Il premio, guarda caso, ammonta al 30% della somma recuperata dall’erario.



[SM=g1430705] [SM=g1430705] [SM=g1430705]

 
30/04/2012 12:41
 
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Caldissime


Il tasso d'inflazione annuo ad aprile resta stabile in Italia al 3,3%, lo stesso valore già registrato a marzo e a febbraio. Ma le stime provvisorie dell'Istat indicano un aumento dei prezzi su base mensile dello 0,5%. Ha pesato il prezzo della benzina aumentato su base annua del 20,8%, in forte accelerazione rispetto al 18,6% di marzo, mentre su base mensile è salito del 3,1%.

Il rialzo tendenziale è il più alto almeno dal gennaio del 1996. Oltre alla verde anche il gasolio per i mezzi di trasporto è salito, pure se con ritmi lievemente meno accelerati: su base mensile è aumentato dello 0,9% e su base annua del 20,5% (dal 22,5% del mese precedente).

Inoltre, si è visto un rincaro congiunturale marcato per il prezzo del Gpl (+4,4%), il cui tasso di variazione tendenziale ha accelerato ulteriormente al 12,5% (dal 7,7% di marzo). Infine, il prezzo del gasolio per riscaldamento è aumentato dello 0,3% sul mese precedente e del 10,1% su quello corrispondente del 2011 (era +11,7% a marzo).

E nel mese il rincaro annuo del carrello della spesa, cioé i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza (dal cibo ai carburanti), è stato del 4,7%. Un valore superiore al tasso d'inflazione (3,3%), che risulta il più alto da settembre 2008. Anche questo incremento ha risentito dei prezzi dei carburanti. Su base mensile, invece, i prezzi dei prodotti acquistati con maggiore frequenza hanno registrato un aumento dello 0,4%.

Inoltre, per effetto soprattutto dei rialzi congiunturali dei beni energetici regolamentati (energia elettrica e gas), anche i prezzi dei prodotti a media frequenza d'acquisto hanno subito forti rincari (+0,9%), crescendo su base annua del 2,9% (in lieve decelerazione dal 3,1% di marzo 2012).

Tradotto in termini di costo della vita questo +4,7% del carrello della spesa significa che una famiglia di 3 persone spenderà, per fare la spesa di tutti i giorni, 635 euro in più su base annua, mentre per una famiglia di 4 persone la stangata sarà di 686 euro all'anno, secondo quanto stima il Codacons.

[SM=g1430706]
02/05/2012 14:07
 
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Spending review, Bondi al lavoro sul dl Nessun taglio al Quirinale e al Parlamento
Il commissario per la spending review, Enrico Bondi, è già al lavoro e ha incontrato questa mattina il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda. Catricalà: "Entro 15 giorni il piano di Bondi". I provvedimenti non colpiranno né la presidenza della Repubblica né la Corte costituzionale né il Parlamento, perché si tratta di organi che hanno una autonomia, che si estende anche agli aspetti economici, riconosciuta a livello costituzionale
di Nico Di Giuseppe - 02 maggio 2012, 12:05
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Il commissario per la spending review, Enrico Bondi, è già al lavoro e ha incontrato questa mattina il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda. Al momento sul tavolo c'è solo una bozza del decreto legga sulla revisione della spesa pubblica, ma cominciano a delinarsi quantomeno le linee chiave del provvedimento.


Bondi e MontiIngrandisci immagine
Innanzitutto sul ruolo di Enrico Bondi, "il commissario svolgerà funzioni di supervisione, monitoraggio e coordinamento dell’attività di approvvigionamento di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni", si legge nella bozza, nella quale poi si aggiunge che il commissario "ha il potere di chiedere informazioni e documenti alle singole amministrazioni, nonchè di disporre che vengano svolte ispezioni a cura del l’Ispettorato per la funzione pubblica e del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato".

Per quanto riguarda poi i provvedimenti, quello che è sicuro è che non colpiranno né la presidenza della Repubblica né la Corte costituzionale né il Parlamento, perché si tratta di organi che hanno una autonomia, che si estende anche agli aspetti economici, riconosciuta a livello costituzionale.

Il governo Monti è sceso in campo anche on line per la spending review. Sul suo sito, infatti, l’esecutivo invita i cittadini a segnalare sprechi e possibili tagli. Basta cliccare nell’apposita sezione "Esprimi la tua opinione" e compilare un modulo indicando tutti i dettagli richiesti.

I ministeri dovranno presentare la loro relazione sui tagli di spesa entro il 31 maggio di quest’anno. Mentre il commissario straordinario dovrà presentare entro 15 giorni dalla nomina "un cronoprogramma al consiglio dei ministri, che ne verifica l’attuazione sulla base di relazioni mensili del commissario". Ecco nel dettaglio i punti della bozza del dl.

ENERGIA
Le amministrazioni pubbliche "entro 24 mesi" adottano misure "finalizzate al contenimento dei consumi di energia". 

SPESE DI RAPPRESENTANZA
Eliminazione di spese di rappresentanza e spese per convegni, ridimensionamento delle strutture dirigenziali esistenti, riduzione anche mediante accorpamento degli enti strumentali e vigilati e delle società pubbliche. Sono alcune delle 11 attività di revisione della spesa contenute nella direttiva firmata dal presidente del Consiglio Mario Monti e dal ministro Piero Giarda per raggiungere, con la spending review, 4,2 miliardi di risparmi nel 2012.

IMMOBILI PUBBLICI
Gli immobili di proprietà pubblica che eccedono i fabbisogni delle amministrazioni andranno restituiti all’Agenzia del Demanio. Le amministrazioni dovranno fare una ricognizione degli immobili in uso e ridurre la spesa per le locazioni assicurando il controllo di gestione dei contratti. Andrà anche verificata la superficie usata dagli uffici in rapporto al numero degli occupanti.

SENTENZE DI PRIMO GRADO
Le amministrazioni pubbliche impugneranno le sentenze di primo grado che riconoscono miglioramenti economici ai dipendenti pubblici "onde evitare che le stesse passino in giudicato".

E poi si punta al ridimensionamento delle strutture dirigenziali esistenti; alla razionalizzazione delle attività e dei servizi offerti sul territorio e all’estero, riducendo costi e razionalizzando la distribuzione del personale; alla riduzione, anche mediante accorpamenti, degli enti strumentali e vigilati e delle società pubbliche e alla riduzione in termini monetari della spesa per l’acquisto di beni e servizi anche mediante l’individuazione di responsabili unici.
02/05/2012 14:11
 
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Il Pdl e Monti ai ferri corti L'avvertimento di Alfano: "Compensare tasse-crediti"
Lunedì l'affondo di Monti sulla pressione fiscale: "È colpa dei passati esecutivi". Ma Alfano: "Chi ha crediti col fisco, non paghi le tasse". E sull'Ici: "Fu giusto toglierla"
di Sergio Rame - 02 maggio 2012, 13:19
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Si alza la tensione in parlamento. L'affondo del premier Mario Monti sulla pressione fiscale e lo scarica barile sull'esecutivo precedente non è certo piaciuto al centrodestra.


Il segretario del Pdl, Angelino AlfanoIngrandisci immagine
E soprattutto al leader del Pdl Angelino Alfano che ha confermato che presenterà un disegno di legge per consentire agli imprenditori che sono debitori del fisco da una parte e creditori dello Stato dall'altra di poter compensare in modo tale che quanto previsto dallo statuto del contribuente si possa applicare anche a loro.

Ieri sera, ai microfoni del Tg1, rispondendo alle parole del premier Mario Monti che ieri aveva espresso "sdegno" per questa iniziativa annunciata già qualche giorno prima, Alfano ha ribadito la linea del Pdl. "Vorrei iniziare con una parola di sdegno - ha detto Monti lunedì sera durante la conferenza stampa di presentazione delle misure di spending review - per chi ha governato, governa e intende proporsi al governo del proprio Paese, perché non può giustificare l'evasione fiscale, né tanto meno può istigare a non pagare le tasse o istituire personali e arbitrarie compensanzioni tra crediti e debiti verso lo Stato". L'idea sulla quale sta battendo il segretario del Pdl è quella di permettere agli imprenditori di "non pagare le tasse fino all'ammontare del loro credito nei confronti dello Stato". "Il cittadino - aveva spiegato nei giorni scorsi Alfano - deve dare allo Stato ciò che gli deve in termini di tasse ma anche lo Stato deve onorare i propri debiti nei confronti degli imprenditori altrimenti salta il patto sociale".

Alfano torna anche sulla polemica dell'Ici. Polemica che Monti ha tirato fuori lunedì sera a sorpresa. "Togliere l’Ici sulla prima casa è stata una scelta giusta che rivendichiamo", ha puntualizzato il segretario del Pdl. E ha aggiunto: "Lo rifaremmo domani mattina". Parlando dell’Ici e dell’Imu, Alfano ha ribadito che il Pdl ha già ottenuto che "l'Imu si paghi in tre rate. Lavoreremo perché questa tassa possa essere una tantum".
02/05/2012 14:19
 
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Tedeschi studiano fine euro, è allarme disoccupazione

Mentre uno studio tedesco sottolinea che un eventuale fine dell'euro sarebbe una catastrofe per tutti a livello mondiale, Germania compresa, è allarme disoccupazione in Ue. Da uno studio condotto dall'Istituto per la ricerca economica mondiale di Amburgo (Hwwi) e della società di auditing Pwc di Francoforte emerge che una spaccatura dell'Eurozona o una riduzione dell'euro a pochi Paesi avrebbe per le imprese conseguenze imprevedibili a livello mondiale.

In particolare, un euro ristretto a pochi Paesi avrebbe conseguenze catastrofiche proprio per le esportazioni tedesche. Per il presidente di Hwwi, Thomas Straubhaar, ad aver ancora meno interesse a una spaccatura dell'euro sono i Paesi europei in crisi, poiché in primo luogo traggono profitto dalla forza della Germania nell'euro, in secondo luogo sarebbero fuori gioco nel competere da soli con economie così potenti come quelle di Cina e Stati Uniti.

L'Eurozona dovrà affrontare una fase durevole di consolidamento e di grandi riforme di struttura, poiché almeno per i prossimi cinque anni i Paesi europei in crisi avranno bisogno del sostegno di quelli dell'Ue più stabili. Ciò comporterà una crescita ridotta nell'Eurozona e un durevole livello di disoccupazione.

Le aziende dovranno puntare nei prossimi anni sulla crescita al di fuori dell'Eurozona, in particolare in Cina e negli Stati Uniti. Al contempo i responsabili dei due istituti invitano le aziende tedesche a investire nei Paesi europei in difficoltà. "Per aumentare la competitività a livello internazionale", è scritto nel rapporto, "le aziende tedesche devono prendere in esame un'accresciuta produzione nei Paesi dell'euro in crisi", perché "in essi il livello dei salari dovrebbe crescere di poco a medio termine. Un'altra opzione è la partecipazione o la presa di controllo di aziende nei Paesi in crisi".

Facile a dirsi, difficile a farsi visto che anche in Germania a sorpresa è aumentato leggermente il numero dei senza lavoro ad aprile. Il tasso di disoccupazione su base destagionalizzata è infatti salito il mese scorso al 6,8% dal 6,7% col numero dei disoccupati in rialzo di 19.000 unità a 2,87 milioni, secondo i dati dell'Ufficio federale del lavoro.

Si tratta del primo incremento da sei mesi a questa parte. Le attese erano per un calo di 10.000 unità. Il tasso grezzo di disoccupazione è comunque sceso su base annua al 7% dal 7,3%, con un calo mensile di 65.000 unità a 2,963 milioni. Se dunque la disoccupazione cresce, ma solo leggermente, in Germania, in Europa, e in Italia in particolare, è vero allarme.

Secondo Eurostat, a marzo è salita al 10,9%, rispetto al 10,8% del mese precedente, nell'eurozona, mentre nell'Ue a 27 è rimasta stabile al 10,2%. Un anno fa il tasso di disoccupazione era rispettivamente del 9,9% e del 9,4%. Per quanto riguarda l'Italia, a marzo è salita al 9,8%, rispetto al 9,6% di febbraio ed all'8,1% del marzo 2011, mentre la disoccupazione fra i giovani sotto i 25 anni è balzata al 35,9%, rispetto al 33,9% del mese precedente.

L'Ufficio statistico dell'Ue stima che a marzo ci fossero 24 milioni 772mila senza lavoro tra uomini e donne, di cui 17 milioni 365mila nell'area euro. "Gli ultimi dati sulla disoccupazione in Europa sono molto preoccupanti e confermano l'urgenza di creare un mercato del lavoro più dinamico", ha commentato un portavoce della Commissione europea.

"Abbiamo bisogno di riforme del mercato del lavoro nei Paesi membri", ha insistito Jonathan Todd, portavoce del commissario all'Occupazione, sottolineando anche la necessità di prendere misure non solo per creare più posti di lavoro, ma anche posti di lavoro migliori e sostenibili.

L'Italia da parte sua ha accorciato il divario con la media europea (ma il dato reale anche solo considerando una parte degli scoraggiati sale attorno al 13%, cioè ben più della media europea, secondo Fulvio Fammoni della Cgil Nazionale), ma non c'è nulla da rallegrarsi.

La disoccupazione ha raggiunto una dimensione che mette oggettivamente a rischio la coesione sociale che sin qui, nonostante tutto, nel corso di questi quattro anni difficili, ha retto, tanto che per l'ex ministro del lavoro, Maurizio Sacconi, i dati sembrano indicare qualcosa di più grave di una recessione, una vera e propria depressione dell'economia e della società.

"Ciò implica una risposta ben più forte nel segno della liberazione della vitalità dai tanti lacci e lacciuoli che la inibiscono e ciò vale anche per la regolazione del lavoro. Il disegno di legge non deve solo migliorare rispetto a se stesso ma soprattutto rispetto alla legislazione che c'è in termini di propensione ad assumere. Sarebbe davvero antistorico un provvedimento subìto dalle imprese e percepito come una ulteriore ragione di freno ad assumere. Serve esattamente il contrario. Altrimenti è meglio tenere la regolazione che c'è", ha sottolineato Sacconi.

La Cgil punta il dito contro chi "ancora incredibilmente teorizza l'utilità di licenziamenti facili" e risponde alla destra che ancora oggi indica la precarietà come soluzione al problema. "Basta agli slogan e agli annunci inconcludenti. Questo dramma sociale si inverte solo arrestando la recessione, con politiche di crescita e di sviluppo straordinarie".

La Cisl parla addirittura di una "miscela esplosiva" nel Paese, tra aumento della disoccupazione, aumento delle tasse, blocco degli investimenti pubblici e privati. E' chiaro ormai per il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, che il Governo dei professori non basta. "Qui occorre una svolta nella politica economica, altro che spending review", ha aggiunto il leader della Cisl.

Sono passati quasi 6 mesi dall'insediamento del Governo Monti, occorrerà nominare nuovi tecnici? E' sicuramente preoccupante che lo stesso ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, abbia ammesso che i dati di oggi dell'Istat "sono l'effetto delle misure che abbiamo dovuto prendere per evitare lo scivolamento dei conti pubblici, mentre non si può avere ancora l'effetto delle misure strutturali per lo sviluppo della crescita".
02/05/2012 14:33
 
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.....ma pensa ..te.....questi ..signori .....tecnici...la situazione ...sta scappando di mano
Notizie > Italia
Il governo chiede ai cittadini di segnalare gli sprechi pubblici sul web

di Nicoletta Cottone
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Cittadini segnalate via web gli sprechi della pubblica amministrazione. È l'appello lanciato da Palazzo Chigi che sceglie la partecipazione online anche per l'adozione della spending review. Un'apposita sezione del sito del Governo è dedicata proprio alla spending review, «allo scopo di illustrare la spending review, quanto è stato fatto finora e i progressi che si attendono per i prossimi mesi».

Un modulo per segnalare gli sprechi
Non solo però perchè «tutti i cittadini, attraverso il modulo "Esprimi la tua opinione", hanno la possibilità di dare suggerimenti, segnalare uno spreco, aiutando i tecnici a completare il lavoro di analisi e ricerca delle spese futili».

La riduzione, assicura Palazzo Chigi, sarà selettiva
La riduzione delle spese pubbliche attraverso la spending review, informa il sito web di Palazzo Chigi, «non lineare ma - si sottolinea - selettiva, sarà realizzata potenziando la linea di risparmio seguita dal governo nei primi mesi di attività: ad esempio i risparmi, per oltre 20 milioni di euro, prodotti dalla Presidenza del Consiglio grazie alla diminuzione delle consulenze e ai tagli all'organico, la riduzione degli stipendi dei manager pubblici, i tagli sui voli di Stato e sulle "auto blu", la soppressione di enti, o la riforma delle Province.

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Consiglio dei Ministri 30 aprile / Monti: spending review per 4,2 miliardi in 7 mesi, Bondi supercommissario

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A Bondi 15 giorni per realizzare il cronoprogramma
In base alla bozza di decreto legge il supercommissario per la spending review, Enrico Bondi, avrà "15 giorni" di tempo per presentare un cronoprogramma al Consiglio dei ministri per tagli e razionalizzazioni della spesa pubblica. Il Consiglio dei ministri poi verificherà l'attuazione del piano «sulla base di relazioni mensili del commissario». Il commissario straordinario potrà operare «in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione» e potrà avvalersi anche di un "subcommissario". Potrà stare in carica non più di un anno e percepire un'indennità «non superiore a quella del dirigente generale della presidenza del Consiglio dei ministri». Dopo la fase di raccolt delle informazioni sulle diverse voci di spesa e dopo aver segnalato al Consiglio dei ministri quelle che si possono tagliare, ridurre o razionalizzare, il commissario indicherà le misure da prendere e individuerà «un termine per il raggiungimento degli obiettivi prefissati e alla scadenza del termine il Consiglio dei ministri può autorizzare, nel rispetto dell'articolo 120 della Costituzione (sui poteri sostitutivi del governo nei confronti di regioni ed enti locali, n.d.r.), l'esercizio dei poteri sostitutivi dei vertici delle amministrazioni inadempienti».

Nel medio periodo taglio di 295 miliardi, ma nel 2012 taglio di 4,2 mdl
Secondo i calcoli del Governo nel complesso, la spesa pubblica "rivedibile'' nel medio periodo è pari a circa 295 miliardi di euro. A breve termine, invece, la spesa considerata rivedibile è stimabile in circa 80 miliardi. Per il 2012 la riduzione della spesa pubblica ha un importo complessivo di 4,2 miliardi: tutte le amministrazioni pubbliche devono concorrere. Questo importo potrebbe servire, per esempio, a evitare l'aumento di due punti dell'Iva previsto per gli ultimi tre mesi del 2012. Una riduzione di 4,2 miliardi, da ottenersi in 7 mesi (1° giugno-31 dicembre 2012) equivale a 7,2 miliardi su base annua e corrisponde perciò al 9% della spesa rivedibile nel breve periodo (80 miliardi).
02/05/2012 17:08
 
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.......si fa reale la campagna.....elettorale.....
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Dl banche, via libera del Senato. Il Governo va sotto su emendamento: confermato il giro di vite sulle pensioni dei manager pubblici

Cronologia articolo2 maggio 2012Commenta
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Argomenti: Management | Senato della Repubblica | PDL | Corte Costituzionale | Antonio Manganelli | Filippo Patroni Griffi | Lega | Luigi Li Gotti | Senato




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Dl banche, Governo battuto su pensioni manager Pa
Via libera dell'Aula del Senato al decreto correttivo sulle commissioni bancarie. I voti a favore sono stati 207, i contrari 27 e una astensione. Il provvedimento, modificato a Palazzo Madama, passa ora alla Camera in seconda lettura. Sul provvedimento il Governo è stato battuto su un emendamento dell'Idv che ha abrogato il comma di un articolo del decreto, che conteneva una norma a favore delle pensioni dei manager pubblici. I favorevoli sono stati 124 (Idv, Lega e Pdl), i contrari 94. «Una vittoria dell'etica della cosa pubblica sugli interessi della casta di privilegiati», ha commentato Luigi Li Gotti (Idv), capogruppo in commissione Giustizia di palazzo Madama.

No alle commissioni bancarie per "rosso" fino a 500 euro delle famiglie
Fra le novità viene esclusa l'applicazione di commissioni bancarie alle famiglie i cui conti correnti vadano in "rosso" o oltre al fido fino a 500 euro per un periodo non superiore a 7 giorni consecutivi ogni trimestre.

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Redditi manager pubblici, Manganelli in testa con oltre 620mila euro
Il contenuto del comma abrogato
Il secondo comma dell'articolo 1 abrogato, riguiardava i riflessi sulla misura del trattamento pensionistico dei limiti massimi dei trattamenri economici, relativi ai rapporti di lavoro dipendente o autonomo con le pubbliche amministrazioni statali. L'applicazione dei limiti richiede la determinazione dei criteri di calcolo della quota di trattamento pensionistico la liquidare secondo il sistema retributivo (la quota di trattamente che rientra nel contributivo è correlata alla misura degli emolumenti percepiti "tempo per tempo"). In pratica il comma abrogato stabiliva che questo «taglio» di stipendio era ininfluente ai fini della definizione della pensione per la parte calcolata con il metodo retributivo.

«Questo articolo - aveva spiegato in aula il sottosegretario Claudio De Vincenti - fa sì che i dirigenti della Pubblica amministrazione che hanno già maturato i requisiti di pensionamento, che volontariamente prolungano la loro attività, al momento dell'andata in pensione avranno l'assegno calcolato sulla situazione maturata al 22 dicembre 2012». Il comma non comportava oneri per la finanza pubblica e il governo lo aveva inserito nel decreto sulla commissioni bancarie per evitare possibili ricorsi, alla luce di precedenti sentenze della Corte costituzionale in tema previdenziale.

A febbraio il ministro della semplificazione e Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi aveva reso noti gli stipendi dei manager della pubblica amministrazione. Il capo della Polizia, Antonio Manganelli era risultato il dirigente pubblico con la retribuzione più alta. Il solo a superare i 600mila euro, arrivando a 621.253,75 euro. Poi seguiva il Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, con 562,331,86 euro. Sul podio anche il capo dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, terzo con 543.954,42 euro. Leggi l'articolo con la classifica degli stipendi dei manager pubblici

[SM=g1430703]
03/05/2012 12:54
 
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.......che cosa ha di .....etico la finanza......NON certamente......
[SM=g1430712]
La crisi economica fa altre due vittime
Altre due vittime della crisi. Un imprenditore trevigiano si uccide nel camion di sua proprietà, strangolato da uno scoperto di migliaia di euro. Rischiava di perdere la quota dell'azienda. A ritrovarlo impiccato la compagna e un figlio. Una seconda persona, un 51enne disoccupato di Carpi, nel modenese, si è ucciso in casa. È stato trovato dalle forze dell'ordine, chiamate dai vicini che non lo vedevano da alcuni giorni

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