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by Claudione

Ultimo Aggiornamento: 29/07/2014 11:10
19/04/2012 13:44
 
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Caldissime
Il debito si taglia così
Di Guido Salerno Aletta
Prima o poi, arriva il momento in cui si devono fare i conti con se stessi, con la propria storia e soprattutto con il futuro.
 
L’Italia è alle prese con un vero, grande problema: il debito pubblico è alto ma soprattutto costa troppo. La situazione è ben diversa dagli anni 80 e 90: allora la spesa pubblica era fuori controllo. Ora no. Ma il livello del debito rende deboli sui mercati finanziari e drena inutilmente risorse verso la rendita.
 
Rispetto al passato, occorre quindi un’analisi profondamente diversa, sia sul piano economico finanziario, ma soprattutto sul versante politico ed istituzionale. All’interno e nei confronti dell’Unione europea. Non c’è alcuna solidarietà su cui possiamo contare: si è visto con la Grecia. La proposta di emettere eurobond, pure sostenuta a più riprese dall’Italia per sottrarre alla speculazione i debiti sovrani dei Paesi più a rischio, è stata bocciata da Francia e Germania: per ragioni egoistiche, ma ben comprensibili. Non vogliono pagare interessi più elevati sul proprio debito. Se ne riparlerà in futuro, forse, quando ognuno si sarà rimesso in carreggiata, quando non serviranno più a bilanciare le diverse posizioni, a mediarle: quando  saranno divenuti superflui. Da qui occorre partire: ognun per sé.

La prima questione è rappresentata dal costo eccessivo del debito pubblico italiano: una causa non secondaria sia della mancata crescita sia della scarsa efficienza delle pubbliche amministrazioni. Il servizio del debito drena risorse fiscali enormi: solo nel 2010 il conto economico delle amministrazioni pubbliche presenta interessi passivi per 70,4 miliardi di euro. Sono denari prelevati dalle tasche dei contribuenti e delle imprese che vanno ad onorare gli impegni finanziari. Ma c’è di peggio, perché il 45% del debito pubblico italiano è in mani straniere: quello in mano al sistema bancario che riferisce alla Bri a marzo 2011 era appena di 268,3 miliardi di dollari. Tutto il resto è in mano a governi sovrani, fondi monetari, hedge fund e fondi pensione, a cui a pagare rendite annue del 3,9% sul capitale, pari al tasso medio corrisposto sul debito. Su un onere per interessi pari al 4,62% del pil, quasi la metà si è trasferito fuori dai confini: il 2% annuo. Nel 2010 sono stati 33 miliardi di euro, una cifra di poco inferiore all’intero ammontare di tutti gli investimenti fissi lordi delle PA, pari a 38 miliardi. Ad averli risparmiati, si potevano raddoppiare le spese per opere pubbliche.
 
La seconda riflessione va fatta sulla strategia di abbattimento del debito, inaugurata dopo la crisi del 1992: privatizzazioni ed avanzo primario. E’ stata una stagione complessa e lunga, che ha consentito di scendere da un rapporto debito/pil del 122% ad appena il 103% nel 2006. Ma la creazione dell’avanzo primario di bilancio (il saldo positivo tra le entrate e le spese al netto degli interessi) ha sfiancato la crescita. Dopo la crisi, non solo si è tornati al 120%, ma c’è da fare i conti con l’azzeramento del rapporto deficit/pil nel 2013 e con l’obiettivo di ridurre il rapporto debito/pil al 60% in venti anni, al ritmo del 5% all’anno. Se il debito complessivo è arrivato a circa 1.800 miliardi di euro, significa dimezzarlo con venti manovre da 45 miliardi ciascuna. C’è chi spera che sarà la crescita a diluire l’onere: ma per farlo il pil annuo dovrebbe crescere del 5% in termini reali. Visto il trend di crescita degli ultimi trent’anni, è una utopia. Il rischio, che ormai si sta palesando, è che vada in crisi non solo il sistema economico, ma anche quello delle rappresentanze politiche ed istituzionali.
 
L’alternativa, più volte riproposta anche di recente, è rappresentata dal ricorso ad una imposta patrimoniale: ma non è altro che il trasferimento di attivi dalla collettività allo Stato, che ricomprerebbe i titoli pubblici in circolazione abbattendo il debito. Visti i tracolli di borsa e le perdite di quest’ultimo anno, si suggerisce il prelievo sul patrimonio immobiliare delle famiglie italiane: ampio, ricco, solido. Il fatto è che sono case prevalentemente case di abitazione: per pagare la patrimoniale occorrerebbe allungare il mutuo in corso o farne uno nuovo. Con le banche italiane che avrebbero in prospettiva titoli sub prime. Per non parlare dei tassi da pagare, molto più alti di quelli che oggi gravano sul debito pubblico. Sullo stesso stock di debito si pagherebbe comparativamente di più e si peggiorerebbero gli attivi bancari: un rimedio peggiore del male. Occorre pensare a qualcosa di molto diverso.
 
In terzo luogo, occorre ragionare in termini diversi anche in ordine al costo del finanziamento del debito: continua ad essere una variabile esogena, stabilita dai mercati. Così, il profilo degli spread è da cardiopalma. La stabilizzazione del debito e la sua riduzione, così come vengono prospettati, presuppongono almeno la stabilità del tasso di interesse corrisposto finora. Non si tratta solo di tenere d’occhio il differenziale con i Bund, ma occorre fare i conti con l’andamento del tasso di sconto, salito dello 0,5% in tre mesi. Manovra improvvida, quella della Bce, che ha traslato verso l’alto l’intero sistema dei tassi. Così, piazzare i titoli pubblici all’atto del loro rinnovo costerà di più. In termini di fabbisogno finanziario annuale, occorre in ogni caso emettere titoli che rimpiazzino quelli in scadenza al netto dell’avanzo primario dell’anno. Pertanto, ogni variazione verso l’alto del tasso di interesse medio sul debito decelera la stabilizzazione del debito. Un aumento che vanifica, in tutto o in parte, il risparmio pubblico realizzato con l’avanzo primario. Un possibile aumento strutturale del tasso medio di interesse sullo intero stock di debito rende ancora più ardua la politica fin qui adottata per la stabilizzazione e la riduzione del debito.
 
Occorre una strategia diversa, dal punto di vista sociale, economico- finanziario e politico. Il primo obiettivo da perseguire è preliminare all’abbattimento del rapporto debito/pil: bisogna ridurre drasticamente il costo degli interessi, allineandolo a quello degli Stati che attualmente vengono considerati i migliori prenditori (Giappone, Usa e Germania), sottraendo il debito pubblico alla speculazione internazionale e riducendo il trasferimento di risorse fiscali all’estero.
Il ragionamento si deve quindi concentrare sul profilo della equità sociale, superando la contrapposizione tra contribuenti attraverso la tassazione e beneficiari della spesa pubblica, cercando il miglior mix di redistribuzione degli oneri di risanamento tra aumenti di entrate e tagli di spesa. Non esistono più obiettivi di giustizia fiscale e sociale condivisi. Non si va oltre gli appelli e le denunce: quale che sia l’anno di acquisizione di un beneficio o di attribuzione di un presunto privilegio, sono costi attuali: il contributo al risanamento va richiesto a tutti.
 
Occorre una manovra finanziaria a tenaglia che schiodi dalla situazione attuale. Da una parte occorre ridurre il costo del debito pubblico e dall’altra abbatterlo. Il primo strumento è definibile “Cash & Kind”: si tratta di pagare tutte le spese pubbliche di rilevante ammontare corrispondendo accanto ad una alta percentuale in contanti una limitata quota in titoli di Stato. C’è un precedente, anche se la situazione era molto diversa: ci fu un momento in cui si pagarono in Bot gli aumenti della scala mobile ai dipendenti pubblici. I titoli Kind, da corrispondere ai beneficiari delle spese pubbliche, avrebbero caratteristiche peculiari: durata ventennale, ammortamento lineare del 5% l’anno, rendimento annuo pari al tasso di sconto in vigore computato sulla somma residua. Per evitare il ripetersi della vicenda Efim, questo sistema si applicherebbe solo nei confronti dei cittadini italiani e delle persone giuridiche di nazionalità italiana.
 
I titoli Kind avrebbero un regime peculiare: non sarebbero soggetti a tassazione, negoziabili, ammessi a quotazione e valutazione di rating. Tenuti in deposito presso un Conto titoli da parte della Direzione generale del Tesoro (Dgt) potrebbero essere solo costituiti in pegno alle banche italiane, soggette alla vigilanza della Banca d’Italia, per anticipo di liquidità: in questo caso, il rendimento pagato dallo Stato verrebbe girato alle banche. I titoli potrebbero essere utilizzati per il pagamento di imposte, tasse e contributi previdenziali, ma non per premi assicurativi o mutui bancari. Occorre evitare qualsiasi trasferimento del titolo a soggetti su cui vengono effettuati giudizi di rating. Le banche italiane possono approvvigionarsi della liquidità necessaria attingendo alla Bce, rilasciandole i titoli come collaterali, e comunque utilizzando prioritariamente ai fini della provvista gli eventuali depositi di liquidità in eccesso detenuti presso la medesima Bce ed utilizzando come collaterali i titoli in questione con precedenza su altri titoli detenuti a fini di contrattazione. Qualora gli oneri della provvista di liquidità presso la Bce fossero superiori al tasso di sconto, questi sarebbero posti a carico dell’Erario. Le operazioni compiute dalle banche sui titoli Kind verrebbero descritte in una sezione contabile separata del proprio bilancio.
 
Questa prima operazione dà luogo a tre benefici: riduce le emissioni di titoli sul mercato e quindi le tensioni sul mercato finanziario; sostituisce titoli ad alto costo con titoli a rendimento pari al tasso di sconto; non drena liquidità al sistema economico, per via della possibilità di costituirli in pegno a tal fine. Visto che la liquidità che si ottiene dalla Banca è pari al valore facciale del titolo, non vi è nessuna perdita monetaria da parte dei destinatari della spesa pubblica rispetto alla quota pagata in titoli. Per chi non avesse bisogno di liquidità, renderebbero più di un deposito di conto corrente: un risparmio senza costi e senza tassazione alcuna sul rendimento. I creditori nei confronti dello Stato sarebbero e rimarrebbero i cittadini, fino all’estinzione del titolo. Considerando invariata la spesa attuale per interessi, il minor onere da corrispondere su questi titoli consente di coprirne quasi integralmente anche il costo dell’ammortamento. L’avanzo primario delle manovre di bilancio verrebbe utilizzato per il riacquisto dei titoli in circolazione, prioritariamente quelli in mano all’estero, sia per accrescere la ricchezza nazionale sia per ridurre le tensioni speculative. Facendo qualche calcolo, partendo dalla situazione attuale, la spesa corrente e in conto capitale delle pubbliche amministrazioni al netto degli interessi è pari a 727 miliardi (in essa è compreso tutto, dagli stipendi alle pensioni ai pagamenti di forniture, opere pubbliche etc.). Applicando un 5% di aliquota alla spesa corrente e del 10% alla spesa in conto capitale pagabili con i titoli kind, con il differenziale di tassi in venti anni si arriverebbe a un risparmio quantificabile in circa 200 miliardi.
 
Attenzione, sono impegni importanti, per cui occorrono tutele penali. Poiché, fatta eccezione per la costituzione in pegno, verrebbero vietate la commercializzazione, la quotazione, la contrattazione e la emissione di rating su questi titoli, il compimento di queste operazioni andrebbe a configurare il reato di attentato alla politica di stabilizzazione finanziaria dell’Italia, da punire con la pena già oggi prevista per l’aggiotaggio. Parimenti, verrebbe vietata la offerta, l’acquisto e la contrattazione di titoli derivati sui titoli in questione e di ogni operazione naked ad essi relativa. I titoli sarebbero garantiti dalle riserve auree della Banca d’Italia, per la quota eccedente la sua partecipazione al capitale della Bce.
La durata dell’operazione, l’ammontare della quota da corrispondere in titoli di Stato e la soglia minima delle obbligazioni delle PA soggette al pagamento misto per categoria di spesa sarebbero determinati con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Consiglio dei Ministri, previo conforme parere della Commissione parlamentare. La cessazione della applicazione delle misure sarebbe dichiarata con Decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio, previo conforme parere della Consob e del Direttorio della Banca d’Italia. Con la stessa procedura, una o più misure possono essere sospese ovvero graduate diversamente.
 
Dal punto di vista tecnico contabile ed amministrativo, i pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni vengono effettuati dai rispettivi Tesorieri mediante emissione di un mandato di pagamento a favore della Dgt, con l’indicazione del beneficiario finale e del suo conto presso la banca di appoggio per le operazioni di anticipazione di liquidità, di corresponsione degli interessi e di rimborso annuale della quota in ammortamento, accompagnati dal trasferimento della provvista per l’importo integrale della somma liquidata. La Dgt provvederebbe al pagamento per la quota in contanti attraverso il Servizio di Tesoreria provinciale e costituirebbe contemporaneamente il Conto titoli intestato al beneficiario accreditandogli l’importo relativo.
 
Ma questa manovra da sola non basta.
 
Il secondo strumento è volto alla valorizzazione del patrimonio immobiliare delle famiglie italiane. Oggi è uno sleeping asset: ha un valore d’uso, ma non finanziario. E allora ciascun immobile su cui non gravi un mutuo in corso può essere offerto volontariamente in garanzia (per un ammontare non superiore alla metà del valore di mercato) per l’emissione di  titoli di Stato della serie “Kind Real Estate”, con un rendimento pari al tasso di sconto maggiorato dell’1%.  Questa maggiorazione costituirebbe il bonus per il proprietario. Ipotizzando un valore immobiliare di 100 mila euro, e una garanzia sul 50%, il rendimento netto annuo sarebbe di 500 euro l’anno: più o meno, quanto serve per le bollette di acqua, luce e gas. La restante remunerazione, pari al tasso di sconto, serve alla provvista.
 
Così facendo, si valorizzerebbero finanziariamente gli immobili creando la possibilità di costituire risorse finanziarie nuove, ulteriori, senza alterare gli equilibri sul mercato mobiliare (azioni, obbligazioni, Fondi, Assicurazioni, ecc.). Ad effettuare l’operazione di emissione di questi titoli potrebbe essere un consorzio bancario misto, pubblico - privato che girerebbe ad un Fondo unico le prese di garanzia sui singoli immobili, riscontandone l’ammontare alla Bce, da cui riceverebbe liquidità al tasso di sconto che servirebbe ad acquistare i titoli.
 
Anche con i proventi di questa seconda operazione, si pagherebbero meno interessi e si accelererebbe quindi l’abbattimento del debito. Senza dissanguare i contribuenti nè colpire il patrimonio immobiliare con una patrimoniale. Si applicherebbero le medesime tutele previste sul piano penale e le stesse garanzie sul versante politico ed istituzionale descritte per la operazione “Cash & Kind”.  E’ una misura volontaria, incentivabile con una promessa fiscale del tipo: se dai in garanzia al prestito il valore di metà della tua casa, per i prossimi venti anni l’ammontare delle tasse sulla casa sarà esattamente quello del momento dell’emisisone. Un po’ come l’esenzione 25ennale dall’Ilor che favorì il boom dello sviluppo immobiliare del passato. Se, per ipotesi estrema, si riuscissero a convogliare garanzie immobiliari private per un ammontare pari al debito pubblico che eccede il 60% previsto da Maastricht (922 miliardi), in venti anni con questa misura i risparmi di imposta potrebbero superare i 400 miliardi.
 
L’obiettivo di ridurre il debito pubblico non può rimanere un problema del ministro dell’economia, del solo governo o del parlamento. E’ un problema di tutti italiani: tocca agli italiani risolverlo. Ricomprandosi il debito.
 
Adesso.


Occorre  Kind  debito  Conto  titoli  Bce
 3 Commenti Inviato il: 28/10/2011 11.46   
Da: DOGEN
Segnala un abusoDi Guido Salerno Aletta
Perche’ invece non ci racconti la tua storia, come mai lavori a Milano Finanza e quali sono gli interessi che ci sono dietro certi discorsi.........
Oppure pensi veramente quello che dici????
Chi sono gli azionisti del giornale?????
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